Da Demetra a Maria. La staffetta di un culto

Dalla dea delle messi alla Madre di Cristo: origine e sviluppi di un culto

Nel suo quarto libro contro Verre Cicerone scrive: "Non solo i Siculi ma anche tutte le altre genti e nazioni onorano moltissimo Cerere di Enna. [...] Nonostante che nella nostra Roma ci fosse un tempio di Cerere bellissimo e magnifico, tuttavia arrivarono fino a Enna. Infatti tanta era l'autorità e l'antichità di quel culto che, andando in quel luogo, sembrava che non andassero al tempio ma da Cerere in persona".

Questa è forse una delle più autorevoli conferme che pongono Enna quale sede del culto della dea Cerere/Demetra e sin dal momento in cui i Sicani, nel XIV sec a.C., fondarono Enna è qui che essi credevano che risiedesse la dea madre.

Sulla sommità nordorientale dell'acrocoro ennese, a 931 mt. si trovano due tra i simboli che più caratterizzano la città e ne provano la sua storia millenaria: il Castello di Lombardia e la Rocca di Cerere. Qui Paolo Orsi, famoso archeologo degli anni '30, eseguì degli scavi che portarono alla luce degli strati archeologici databili all'età del Bronzo (2300-1600 a.C.); mentre negli scavi degli anni '80 la Soprindentenza di Agrigento portò alla luce delle tombe a grotticella di periodo preistorico. In contrada S. Ninfa si conservano tracce di fortificazioni di età greca, che fanno ipotizzare che laddove è il Castello di Lombardia vi fosse l'acropoli greca con il tempio della dea (così come testimoniano anche delle foto scattate negli anni '20 quando si eseguono i lavori di costruzione delle vasche idriche all'interno del secondo cortile del Castello di Lombardia), e che la zona fosse difesa da mura, mentre la rocca di Cerere costituiva la parte sacra della polis ennese.

"La prima epifania della Grande Madre in verità fu la pietra stessa: la rocca detta ancora oggi di "Cerere" nel caso di Enna, una cratofania, o se si preferisce, una ierofania litica, cioè il sacro che si manifesta in forma di pietra. La roccia, per la sua intrinseca robustezza e durevolezza, ben si presta a garantire le idee dell'eternità, del sacro, dell'intangibilità. [...] Così in Sicilia, la Grande Madre, fu soprattutto Dea Montagna", così afferma lo scrittore palermitano Bent Parodi Duca di Belsito in Miti e Storia della Sicilia Antica.

Sin dall'antichità, quindi, Enna rappresenta il centro da dove la dea Demetra/Cerere diffonderà civiltà e cultura, insegnando a coltivare il grano e ad apprendere la scienza dell'agricoltura, e a comprendere come la ciclicità delle stagioni rendano la terra fertile e feconda di frutti. 

Le stagioni sono anch'esse collegate a Demetra e ai dintorni di Enna: è proprio a Pergusa che il mito colloca il rapimento di Persefone (Kore)/Proserpina, figlia di Demetra/Cerere, rapita da Ade/Plutone e trascinata agli Inferi di cui diventerà la regina, ma da cui "risorge" per portare la primavera alla Terra.

Lo stesso chicco di grano è elemento simbolo del culto ctonio (le divinità sotterranee) di Demetra e Persefone. Infatti, il chicco di grano deve prima "morire" per poi risorgere dal sottosuolo dando nuovo frutto e nuova vita. A questo punto ben si comprende come siano molteplici i parallelismi tra la religione cristiana e il culto pagano di Demetra e Kore. Demetra è l'unica dea che perde un figlio che scende agl'inferi per poi risorgerne, così come Maria, madre di Cristo, perde il figlio, che scende agl'Inferi per risorgerne dopo tre giorni, così come il chicco di grano (frutto della madre Terra) che deve morire per poi dare nuovo frutto, così come lo stesso Gesù Cristo narra in una delle sue parabole.

La sostituzione tra Demetra e Maria, Madre di Dio, è l'unica proponibile, ed è quella che viene attuata dai primi cristiani. In realtà, Enna non fu completamente convertita alla cristianità se non nel XV sec. d.C. quando, appunto, i dignitari ennesi acquistarono a Venezia nel 1412 la statua della Madonna, attuale patrona del popolo ennese.

ARTICOLO A CURA DELL'INFOPOINT TURISMO - LIBERO CONSORZIO COMUNALE ENNA

Galleria fotografica a cura di Biagio Virlinzi e Lou Vellar

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