Mafia è Stato. L'ultima fatica editoriale di Paolo Di Marco

La Sicilia e l’Italia. Intervista a Napoleone Colajanni

L’antefatto, con cui ha inizio l’opera, delinea le misere condizioni in cui versava la Sicilia dopo l’unità d’Italia, la sua cattiva reputazione di terra ignorante, arretrata, mafiosa. Indica i tre significativi fatti storici legati alla vita isolana e nel contempo a quella nazionale, concentrati nei primi anni Novanta dell’Ottocento: lo scandalo della Banca Romana (20-12-1892), il delitto Notarbartolo (1-2-93), i Fasci Siciliani (1893-94), argomenti che saranno più diffusamente trattati in corso d’opera.
La parte dedicata al delitto Notarbartolo tratteggia e contrappone la figura della nobile vittima a quella del presunto mandante dell’omicidio, lo spregevole spavaldo onorevole don Raffaele Palizzolo.
Sin dall’inizio lo stile del racconto scivola veloce, particolareggiato, mai eccessivo, ingombrante, così da tenere sempre interessato il lettore, e anche chi fosse al corrente dei fatti storici ricordati vien preso dal coinvolgente flusso narrativo, non privo di battute e sapide allusioni.
La seconda parte, nucleo centrale dell’opera, comprende l’intervista promessa nel sottotitolo spostando l’attenzione su Enna e il grande statista ennese, anticipato dalla lapidaria definizione che ne dà, al giovane giornalista palermitano Marco, il carrettiere Turiddu: “Grida ai quattro venti le malefatte dei potenti senza paura, e ha sempre ragione”, a cui segue il profilo che di questo “onorevole montanaro” traccia il direttore del giornale immaginario “La Regione” chiamandolo “rompiscatole” e spiegando che “per lui vale soltanto il riscatto del popolo e della sua terra”. E ancora: “Mi dicono che sia anche onesto e incorruttibile. E riconoscerlo a un politico è tanta cosa”.
La cittadina degli Erei è delineata con riferimenti precisi ed essenziali. Dopo alcune rilassanti pagine narrative, nelle quali Marco fa la conoscenza di Enna-Castrogiovanni e di alcuni suoi abitanti, si entra direttamente nel merito: alla domanda chiave, posta non a conclusione ma all’inizio dell’intervista: “Onorevole, si può battere la mafia?” Colajanni risponde a chiare lettere: “… per combattere e distruggere il regno della mafia è necessario, anzi indispensabile, che il governo italiano cessi di essere il re della mafia.” E, come esempio, viene addotto proprio il delitto Notarbartolo e il processo che ne seguì. In questa occasione infatti si evidenziarono i mali dell’isola: omertà, reticenza, connivenza, malcostume e, in escalation, corruzione, criminalità. A tanto si è arrivati “per l’iniquità dei governi che hanno amministrato la nostra Sicilia, per colpa delle classi superiori che infierirono sulla popolazione grazie al regime feudale della società”.
La trattazione storica di Colajanni, sincero, diretto e senza peli sulla lingua, si fa impietosa: le compagnie d’arme istituite per la sicurezza pubblica non tardarono a corrompersi, le guardie private, i campieri, tutta gente esosa, tutti violenti e prepotenti. Non restava che opporre violenza a violenza: proliferò il brigantaggio, si sviluppò la mafia, ossia la tendenza, divenuta vera e propria organizzazione, a farsi giustizia da sé, a pretendere il rispetto di sé e, in un crescendo sempre più perverso, a detenere il potere, a spadroneggiare.
Per un Siciliano che legga i capitoli dell’immaginaria intervista, all’indignazione si somma l’amarezza e lo pervade la stessa passione che anima chi ne parla e ne scrive.
L’analisi di Colajanni è puntuale, acuta, intessuta di ombre molto più che di luci. Di Marco gli tiene bordone, spiega la motivazione di molte sue scelte politiche, che talvolta possono essere state difficili, sofferte e persino discutibili, sempre dettate da onestà intellettuale e amor patrio.
Per chiudere in bellezza l’autore con mossa astuta lascia parlare un altro illustre concittadino pubblicando il testo di Nino Savarese redatto nell’agosto 1929 in occasione del monumento che Enna eresse al suo apprezzato figlio onorevole morto otto anni prima, in cui si esalta con parole appropriate quest’uomo sincero, attivo, morto povero, esempio di rettitudine e d’impegno politico.
Anna Maria De Francisco
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Categorie: Costume e SocietàNumero di visite: 3721

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