Gli albori di una nuova Provincia: Enna 1927 - 1940

In occasione dell'anniversario ne ripercorriamo la storia

Nella convinzione che il destino delle nazioni fosse legato alla potenza demografica, fin dagli anni '20, il regime fascista aveva posto l’obiettivo di favorire l’incremento della popolazione al fine di raggiungere una densità ottimale attraverso lo sviluppo delle zone svantaggiate o scarsamente popolate, ma anche attraverso una nuova divisione del territorio. Nel celebre discorso dell’Ascensione, pronunciato il 26 maggio 1927 alla Camera dei Deputati, Benito Mussolini aveva affermato: Perché ho creato 17 nuove province? Per meglio ripartire la popolazione; perché questi centri provinciali, abbandonati a se stessi, producevano un'umanità che finiva per annoiarsi, e correva verso le grandi città, dove ci sono tutte quelle cose piacevoli e stupide che incantano coloro che appaiono nuovi alla vita. Abbiamo trovato, all'epoca della Marcia su Roma, 69 provincie del Regno. La popolazione era aumentata di 15 milioni, ma nessuno aveva mai osato di toccare questo problema, e di penetrare in questo terreno, perché nel vecchio regime l'idea, l'ipotesi di diminuire od aumentare una provincia, di togliere una frazione ad un comune o, putacaso, l'asilo infantile di una frazione comunale, era tale problema da determinare crisi ministeriali gravissime. Noi siamo più liberi in questa materia, e allora, fin dal nostro avvento, abbiamo modificato quelle che erano le più assurde incongruenze storiche e geografiche dell'assetto amministrativo della Stato italiano. (1) In questa cornice ideologica, con telegramma del 6 dicembre del 1926 (foto 1), venne annunciata la decisione di elevare il piccolo comune di Castrogiovanni - isolato ombelico della Sicilia - a capoluogo di una nuova provincia costituita dal Circondario di Piazza Armerina, che apparteneva alla Provincia di Caltanissetta, e dal Circondario di Nicosia, che apparteneva alla Provincia di Catania. Sulle motivazioni di tale scelta, nel corso del tempo, si sono sviluppate varie ipotesi. Secondo l‘opinione comune del tempo (2), Castrogiovanni era stata preferita alla vivace e prosperosa cittadina di Piazza Armerina, già diocesi e capoluogo di circondario, in quanto nella città della villa romana era vescovo Mons. Mario Sturzo, fratello del noto antifascista don Luigi, definito sulle pagine del Popolo d'Italia <<uomo infausto>> e <<sinistro prete>> (3). Secondo Leonardo Sciascia, Castrogiovanni, romanamente ribattezzata Enna, era stata elevata a capoluogo di provincia: <<non per particolari meriti fascisti, ma piuttosto in ricordo di Diodoro Siculo, di Euno e della rivolta degli schiavi, temi cui ancora, per il suo passato libertario, Mussolini era sensibile>> (4). Altri ipotizzano che alla designazione di Castrogiovanni abbiano contribuito le posizioni antimarxiste e antibolsceviche assunte dal deputato ennese, Napoleone Colajanni che, sin dal 1915, avevano indotto Mussolini ad apprezzare le posizioni interventiste assunte da <<La Rivista popolare>> diretta da Colajanni (5). Senza avere alcuna certezza, è probabile che – nella logica della costruzione dello Stato totalitario - la istituzione delle nuove provincie di Enna e Ragusa fosse stata determinata dalla necessità di un più efficace controllo politico dei territori del Sud e del Centro Sicilia, più difficilmente governabili dai lontani prefetti preposti alla gestione di vasti ambiti geografici con capoluoghi Catania e Siracusa. Quale che sia la verità al riguardo, si annota che alla nascita della nuova entità territoriale, con Regio Decreto n.2050 del 27 ottobre 1927, seguì la decisione di ripristinare, dopo quasi nove secoli di oblio, l’antico nome di Enna che la corruzione linguistica delle varie dominazioni precedenti aveva trasformato in Castrogiovanni (dal latino Castrum Hennae, all’arabo Qasr Yani, all’italianizzato Castrogiovanni).

Con Decreto del 24 agosto 1928, poi, su progetto del celebre pittore ennese (foto 2), Prof. Paolo Vetri, venne così definito il blasone della neonata Provincia: D'azzurro alla dea Cerere, maestosa e affabile, con la tunica di argento e la sovrattunica di rosso, il viso e le mani di carnagione, capelluto di oro; coronata di spighe d'oro; essa regge: con la mano destra la lampada utilizzata per la disperata ricerca della figlia Proserpina (rapita dal dio degli inferi Plutone), con la mano sinistra il grano assieme ad altri frutti della terra; sostenuta da esiguo basamento di argento (6). Non c’era, però, il mare! Enna era l’unica provincia di Sicilia a non essere bagnata dal mare. Pose opportuno rimedio a questa carenza il celebre ennese Nino Savarese, uno dei principali scrittori del ventennio fascista, che, romanticamente, così commentò il mare ennese (foto 3): Il mare da noi c'è e si estende a perdita d'occhio. E‘ da antichissima data che lo abbiamo noi il mare, unico al mondo. Si trova disteso ai fianchi e da tutte le parti del nostro 'alto' paese, solo che non di acqua frastornante ed invadente si è il nostro mare, ma cangiante di silenziose ed ondeggianti spighe Si, è fatto di grani il nostro mare! Si, e‘ il frumento che ad ogni stagione, ed in maniera diversa, ci dà il pane più 'bello' del mondo.

Definiti i contorni istituzionali, nei primi mesi del 1927, la nuova provincia cominciò il suo cammino provvedendo, nell’arco di un decennio a realizzare le modifiche urbanistiche necessarie a rendere il capoluogo rappresentativo della nuova funzione. Il primo prefetto del capoluogo fu il cav. Giuseppe Rogges, fino al 9 agosto 1930. Al momento del suo insediamento egli trovò alloggio nell'Albergo Belevedere, ove per i primi tre mesi esercitò il suo ufficio. Il vice prefetto, Dott. Pietro Scarciglia venne nominato commissario dell'amministrazione provinciale. Non appena il piccolo comune di Castrogiovanni venne elevato a capoluogo si pose il problema di reperire gli spazi destinati ad accogliere gli uffici amministrativi della nuova entità territoriale. Pertanto, per qualche tempo, si utilizzarono gli ampi edifici monastici già esistenti; essi esprimevano la millenaria religiosità della popolazione locale, tanto da sembrare, duemila anni prima, a Cicerone <<non cittadini di quella città, ma tutti sacerdoti, tutti coinquilini e sovrintendenti del culto di Cesare>> (7).

La Prefettura venne collocata nei locali dell'ex convento San Marco (foto 4), poi adibiti a scuola media; l'Intendenza di Finanza venne ospitata nell'ex monastero di San Benedetto, gli uffici della Camera di Commercio nell'ex convento di San Francesco di Paola, il Tribunale (foto 5) venne ubicato all'interno del palazzo Chiaramonte, già sede del convento dei frati minori. L'ex convento dei Cappuccini venne trasformato in ospizio di mendicità. La Banca d'Italia e il Genio Civile furono collocati provvisoriamente in edifici privati presi in affitto. Il Podestà Enrico Anzalone, insediatosi il 22 gennaio del 1927, nel giro di pochi anni, fece edificare sui ruderi della chiesa di San Giovanni il nuovo Palazzo di Città di Piazza Coppola (foto 6), inaugurato nel 1931, ancora oggi sede dell'Amministrazione comunale.

L'originario progetto del 1932, realizzato dall'Arch. Salvatore Caronia Roberti di Palermo, prevedeva che il nuovo palazzo del governo dovesse sorgere al posto del quattrocentesco palazzo del barone Varisano di Pasquasia, tuttavia, ci si rese subito conto della ristrettezza dell'area anche se lo storico edificio, già dichiarato monumento nazionale, venne abbattuto lo stesso senza alcuna apparente ragione visto che fin da subito, con delibera dell'Amministrazione provinciale del 9 luglio 1934, si decise di realizzare gli uffici del potere politico, istituzionale ed economico – finanziario poco più in alto, nell'attuale piazza Garibaldi ove, entro il 1940, vennero realizzati, sempre su progetto del Caronia Roberti: il palazzo del governo (foto 7 dell'originario progetto), sede della prefettura e dell'amministrazione provinciale, il palazzo del Consiglio Provinciale delle Corporazioni (foto 8), il palazzo I.N.C.I.S. (Istituto Nazionale delle case degli Impiegati dello Stato), progettato dall'Ing. Francesco Allegra, e il palazzo della Banca d'Italia (foto 9), progettato dall'Ing. Rocco Giglio ed edificato nel 1939 su un terreno donato dal Comune di Enna, che poi si seppe ricco di vestigia archeologiche di epoca classica irrimediabilmente distrutte (eccetto i pochi resti rinvenuti nel retrostante giardino). E' questo, infatti, il prezzo che la millenaria città di Enna dovette pagare e in parte ancora oggi paga per adattare l'angusto spazio dell'antica acropoli alle nuove esigenze urbanistiche che imposero, a volte immotivatamente, la demolizione di importanti edifici storici e l'eliminazione della stratigrafia archeologica. Nello stesso periodo, venne realizzato l'edificio scolastico Santa Chiara e il palazzo delle RR. Poste e Telegrafi (foto 10), in Piazza VI dicembre, mentre nei nuovi quartieri che andavano sorgendo in zona Montesalvo, vennero edificati: la caserma del Distretto militare (foto 11), la Casa del Balilla, con annessa palestra, un altro palazzo I.N.C.I.S. (foto 12, Via IV Novembre), il dispensario antitubercolare (Viale Diaz); venne, inoltre, ampliato il macello comunale e, nel 1938, venne completata la rete fognaria (foto 13).

Nell'ambito di questo euforico sviluppo urbanistico anche i privati fecero la loro parte investendo in nuove edificazioni che, come il tempo ci ha mostrato, finirono per alterare la bellezza tipica dell'antica cittadina, costituita da una delicata armonia tra le case e la natura, tra le pietre e il paesaggio che l'avvolgeva tutt'intorno. Tuttavia, prese forma in quel periodo un insieme articolato di spazi aperti sporgenti sull'asse viario centrale della Via Roma, che si dipanava dal Castello di Lombardia fino al quartiere di Montesalvo. Sicchè Enna cominciò a caratterizzarsi sempre più per le sue piazze, spazi collettivi per eccellenza in cui si celebravano gli eventi pubblici più importanti ma anche spazi di relazione umana, di incontro, di discussione, ove si realizzavano i valori sociali della comunità. Venne, inoltre, rinnovata buona parte della rete viaria cittadina e provinciale, ciò determinò un miglioramento nei collegamenti con e tra gli altri centri della provincia anche attraverso l'istituzione di appositi servizi automobilistici di linea (foto 14), gestiti dalla Ditta Ing. Antonio Scelfo, fondatore di SAIS Autolinee, ancora oggi azienda leader nel settore dei trasporti. Di tali notevoli investimenti beneficò tutta la popolazione oltre che da un punto di vista strettamente economico anche da un punto di vista sociale e culturale, vista la particolare attenzione rivolta al settore scolastico.

La nuova provincia esordì sotto l’influsso negativo della grande crisi economica internazionale innescata dal crollo della borsa di Wall Street del 1929. Le notizie della crisi, tuttavia, non destarono, nella popolazione ennese, preoccupazioni maggiori di quelle con le quali normalmente occorreva fare i conti; ciò in quanto l’economia locale si limitava ai beni essenziali occorrenti per la sopravvivenza, e - come si vedrà - perchè la creazione della nuova entità territoriale aveva determinato lo sviluppo del terziario, facendo intravedere l’incremento dell’occupazione attraverso l’avvio di opere pubbliche di rilievo. Tutto questo si tradusse in un sentimento di fiducia e speranza nel governo nazionale che determinò una massiccia partecipazione popolare al plebiscito elettorale del 1929 (96% degli aventi diritto) con l’unanimità dei consensi al listone fascista, tant'è che il Giornale di Sicilia sottolineò con soddisfazione il risultato (8).

L‘opera di bonifica dalla mafia avviata dal prefetto Mori, nel Centro Sicilia, aveva avuto notevoli effetti positivi, pertanto, sulla scorta di questi risultati, "il prefetto di ferro“ caldeggiò ripetutamente e per primo, con telegrammi del 21 novembre e del 3 dicembre 1925, la creazione della nuova provincia, indicando come capoluogo Piazza Armerina che Mori riteneva: <<avamposto strategico nella lotta a mafiosi briganti e sovversivi privi di senso di Stato>> ed apprezzata per <<fasti e virtù, antichi e recenti>> e per <<<le tante onorificenze e le tante medaglie all’onore militare di cui si fregia la ridente città armerina>> (9).

Capoluogo divenne, tuttavia, Enna e qui, il 28 ottobre del 1929, il governo fascista istituì un Tribunale che passò subito alla storia per la celebrazione di uno dei primi <<maxiprocessi>> di mafia a carico di ben 75 soggetti, imputati per associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati contro la proprietà e le persone. Con sentenza del 21 dicembre 1931, questo nuovissimo Tribunale dichiarò la gran parte degli imputati responsabili dei gravi reati ascritti, condannandoli a pene varie che furono confermate nei successivi gradi di giudizio (10). Al fine di dare maggiore consistenza fascista al territorio, subito dopo l’istituzione della provincia, Enna divenne sede della 172^ Legione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale che, più avanti, alla data del 29 gennaio 1935, avrebbe contato su un ruolo di 1572 membri effettivi e 179 Ufficiali (11). Sul piano politico, gli anni Venti videro la progressiva liquidazione dei vecchi notabili agrari che avevano gestito la cosa pubblica durante il periodo liberale ed avevano poi tentato di accreditarsi presso i nuovi governanti. Con il compiersi di questo processo, emerse nei ruoli dirigenziali del partito e delle istituzioni locali un ceto medio fatto di impiegati e liberi professionisti. Degli aristocratici, con l‘eccezione del barone Ayala, che per 10 anni (1927 – 1937) fu Presidente della Provincia e del barone Enrico Grimaldi che gli succedette per altri 4 anni (1937 – 1941), gli altri rivestirono ruoli marginali o di secondaria rappresentanza. Dal 1932 al 1942, invece, ben 5 avvocati si avvicendarono nella carica di podestà e uno di essi, l'Avv. Antonio Li Voti, nominato deputato, mantenne altre cariche locali, facendosi portavoce di un meccanismo di mobilità sociale che trovò terreno fertile nella necessità di costruire ex novo l'apparato burocratico – amministrativo; cosa che egli fece dando spazio ai vari esponenti della piccola borghesia che qui, come nel resto dell’isola, rappresentava la principale struttura di consenso al regime.

La struttura economica della provincia restava, però, ancorata al latifondo che copriva circa il 70% del terreno coltivabile: la terra era posseduta da pochi proprietari che la coltivavano tramite un esercito di gabbelloti, piccoli fittavoli e braccianti (coloro che possedevano le sole braccia e la zappa), i quali ultimi conducevano un’esistenza miserrima, al limite della sopravvivenza. Nel latifondo ennese, si esercitava un tipo di agricoltura estensiva basata sul trinomio colturale: 1) rinnovo di fava o maggese nudo; 2) frumento; 3) pascolo. L’attività iniziava nei mesi autunno – invernali: in primavera la terra si copriva da un meraviglioso tappeto di verde, che si colorava di giallo durante l’estate, assecondando un lento ritmo millenario. Il clima era quello tipico delle regioni meridionali, caratterizzato da scarse precipitazioni primaverili – estive, causa, talora, della perdita dei raccolti.

Secondo il censimento agricolo del 19 marzo 1930, la popolazione con occupazione agricola principale rappresentava il 16,8 per cento della popolazione totale mentre quella con occupazione agricola secondaria era del 3,8 per cento. Tenuto conto che le donne contribuivano soltanto in minima parte al lavoro dei campi, si può affermare che, quasi la metà della popolazione attiva della Provincia di Enna era occupata nel comparto agricolo (12). Un quadro arretrato di Enna – come nel resto del Centro Sicilia – era il frutto della statica cultura latifondista che, come sostenevano le principali riviste agricole del tempo, andava profondamente cambiata anche con interventi di quotizzazione. Non avendo nè la forza nè la voglia di adottare interventi radicali, ai primi anni Trenta, il regime decise di affrontare il problema nell’unico modo che non inficiasse la sensibilità degli agrari: l’urbanizzazione delle campagne.

Nel 1931, si pensò di procedere alla costruzione di borghi rurali forniti di scuole, uffici postali, caserme, chiese, case del fascio, delegazioni podestarili, stazioni dei Carabinieri, ambulatori sanitari, etc.., nel presupposto che urbanizzare le campagne potesse indurre i latifondisti a mettere a coltura l’incolto, a stimolare contratti agrari più generosi ed a pagare le giuste mercedi ai lavoratori. In questa direzione, con grande ottimismo, si adottarono contratti di colonia con precisi obblighi a carico del coloni. Costoro dovevano anticipare gli animali e le derrate, lo Stato sarebbe intervenuto con prestiti destinati ad aiutare il colono che, una volta decollata l'azienda, avrebbe potuto restituire nel tempo. Stipulando convenzioni con i proprietari, vennero individuati nei grandi feudi lotti di terreno di circa 20 ettari. La proprietà delle terre restò invariata, tuttavia, in alcuni di questi appezzamenti era previsto si costruissero case coloniche raggruppate in Centri, denominati "Città di Fondazione“.

I casamenti, detti anche robe o masserie, erano spesso composti da un quadrato di edifici, nel centro del quale era ubicato il cortile o baglio. Una parte dell’immobile era adibito ad uso padronale, le altre parti erano adibite a stalle, magazzini ed abitazioni per i salariati fissi ed i coloni. Queste ultime erano solitamente ubicate a piano terra ove si trovava anche il tipico forno a legna per la cottura del pane nonchè una cucina rudimentale spesso costituita da un semplice focolare di pietra a secco con sopra, sospeso ad un gancio, un caldaio di rame. I borghi per le nuove case poderali erano previsti in numero di otto: Antonio Bonsignore in provincia di Agrigento, Gigino Gattuso in provincia di Caltanissetta, Pietro Lupo in provincia di Catania, Antonio Cascino in provincia di Enna, Salvatore Giuliano in provincia di Messina, Giacomo Schirò in provincia di Palermo, Angelo Rizza in provincia di Siracusa, Amerigo Fazio in provincia di Trapani.

Tutte queste iniziative, tuttavia, andavano a rilento in tutta l’isola. Pur in presenza di 6180 domande da parte di famiglie coloniche per le 2507 case poderali già ultimate, per la riuscita l’esperimento, secondo i tecnici agrari più noti, era necessario agire sulla coscienza, sulla mentalità e sul costume dei contadini per avviarli ed adeguarli alla nuova concezione di vita rurale (13). Disse un tecnico come Nallo Mazzocchi Alemanni che l’azione tecnica ed economica avrebbe dovuto essere ausiliata da una grande forza: quella dello spirito. Delle due realtà ostative alla nuova rivoluzione poderale nta lu gran feudu sdisulatu: la malaria e la donna contadina, la seconda rappresentava il vero punctum dolens. Bisognava vincere la mentalità urbana e antirurale femminile; la sua ostilità alla vita isolata; persuaderla all‘efficiente collaborazione nel complesso della convivenza colonica a integrare, con il suo, il lavoro della famiglia contadina (14).

Secondo un volume edito da un autore locale nel 1938 sui problemi dell’agricoltura ennese (12) (Dott. Edoardo Coppola), l’esperimento mussoliniano riuscì perfettamente, creando una classe di coloni ricchi (15). La realtà fu, invero, ben diversa, molte delle case coloniche, seppure costruite non vennero mai abitate e tuttora giacciono spettralmente, disseminate per le campagne siciliane. Secondo la citata pubblicazione del 1938, l’impiego dei seminativi costituiva l’84,46 per cento dell’intera superficie agraria e forestale, pari a ha. 209.011. La principale coltura era il grano, con il 39,30 per cento dell’intera superficie agraria e forestale.

Negli anni ’30 - insiste la pubblicazione del 1938 - cominciò ad affermarsi anche la trebbiatura meccanica nonostante la resistenza di molti contadini, i quali, puntando sull’uso prevalente dei muli, preferivano trebbiare con l’antico sistema del calpestio degli equini, risparmiando sull’acquisto delle macchine ma assoggettandosi a decine di giorni di lavoro durissimo sotto il sole canicolare. In realtà, come testimonia la medesima pubblicazione del 1938, le trebbie meccaniche in provincia erano soltanto 26 mentre i trattori erano 33. Secondo la citata pubblicazione del 1938, infine, particolare interesse venne dedicato all’istruzione professionale dei contadini.

Non siamo in grado di verificare se e quanto questa "lodevole“ attività fosse stata utile o se fosse soltanto parte del programma di propaganda e quindi svolta in modo superficiale; il problema vero dell’agricoltura ennese, tuttavia, non era la capacità tecnica dei contadini che veniva trasmessa da padre in figlio da tante generazioni. L’ostacolo più grande allo sviluppo agrario era costituito dal latifondo che nella mentalità dei proprietari, nonostante gli immensi sprechi, non doveva essere intaccato e che il fascismo non aveva alcuna voglia di intaccare.

Per questa ragione, anche il programma di bonifica era destinato a modesti risultati (16) con la sola eccezione degli interventi antimalarici sul mitico e misteriosissimo lago di Pergusa che dal 1932 era diventato demaniale (17). Cosi, la bonifica prese avvio nel 1935 e, per l’occasione, l‘11 novembre di quell’anno, il mito del ratto di Proserpina (18) fu solennemente commemorato dalla popolazione ennese con l’inaugurazione di una fontana monumentale (foto 15) eretta all’ingresso della passeggiata del Belvedere, la cui magnifica terrazza panoramica fu anche ampliata e pavimentata (19). Alla fine degli anni '20, il mitico lago di Pergusa si era ridotto ad una grande pozza di acqua sporca dove i contadini facevano macerare il lino, processo che di certo non aiutava a schiarire le torbide acque in cui regnava lo spettro della malaria. Accadeva, infatti, che lungo le sponde paludose, soprattutto nel periodo estivo, si sviluppavano le condizioni ideali per la diffusione della zanzara anofele, portatrice della infezione.

Pertanto, nel 1935 iniziò la bonifica del lago (foto 16), le cui sponde vennero regimentate da apposite opere idrauliche al fine di evitare l’impaludamento mentre la Milizia Forestale provvide al rimboschimento del sito. L'esecuzione del progetto, predisposto dall'Ufficio del Genio Civile di Enna, fu resa possibile grazie a un finanziamento statale di £ 1.300.000. Nello stesso periodo, dietro sollecitazione del prefetto Ascanio La Marca e grazie a un finanziamento di £ 1.500.000, iniziò la costruzione del villaggio rurale (foto 17) con l'edificazione di 37 casette bifamiliari (foto 18) che sarebbero state assegnate a ben 74 famiglie, ciò anche in considerazione del fatto che, alla data del 1936, esistevano nel capoluogo ennese ben 257 grotte, di cui almeno 90 adibite permanentemente ad abitazione ed altre 167 abitate saltuariamente ovvero annesse a fabbricati più recenti. Ogni alloggio comprendeva due stanze, una cucina con forno, i servizi igienici, la stalla, il fienile e 1000 mq di terreno da coltivare a orto. Il borgo venne dotato di impianti di acqua potabile e luce elettrica nonchè di un'ampia piazza sulla quale prospettavano la chiesa, la casa del fascio, la caserma dei Carabinieri (foto 19) e la scuola rurale dedicata alla madre del duce, Rosa Maltoni Mussolini. Nel centro della piazza venne eretto un obelisco commemorativo al quale vennero addossati due grandi fasci littori.

Il villaggio venne inaugurato personalmente da Mussolini il 15 agosto 1937.

Durante la fastosa cerimonia – annota un giornale dell‘epoca - il duce, vestito di bianco, assegnò le case coloniche costruite al fine di offrire riparo alle numerose famiglie che abitavano ancora nelle grotte, dando loro la possibilità di coltivare anche un fazzoletto di terra, egli consegnò inoltre una busta di 500 lire a ciascuna delle 100 coppie che avevano celebrato il rito nuziale presso la nuova chiesa del villaggio. La cerimonia fu allietata da gruppi folcloristici provenienti da Cerami, Sperlinga, Troina, Nicosia, Leonforte e Agira (20). Dopo gli interventi sul lago, il problema delle infezioni malariche sembrò attenuarsi. Secondo i dati riportati nella relazione annuale per il 1936 del Comitato Provinciale Antimalarico, il numero dei casi di malaria primitiva furono di n.2.706 nel 1936, di fronte ai n.3.191 del 1934 e n.3.653 del 1935. Invece, i morti per malaria nell'anno 1936 furono soltanto 10 mentre nel precedente quinquennio 1931 – 1935 si ebbe una mortalità media annua di 24,6 casi (21).

Chiusa la cerimonia al lago di Pergusa, Mussolini volle concludere la sua visita ad Enna parlando al popolo dal balcone del Palazzo Militello (foto 20) ed approfittando dell’occasione per sostenere la battaglia demografica.

Diamo ancora la parola alle cronache dell’epoca:

Nel breve discorso al popolo adunato in una stracolma Piazza Vittorio Emanuele, il duce volle precisare che, dal 1860, era la prima volta che un capo di governo varcasse la porta della vetusta città di Enna e che l'interessamento di Roma si fosse rivolto principalmente a quelle province dove il popolo era più prolifico, laborioso e più fedelmente attaccato alla terra. Il duce sottolineò come la sua personale simpatia per i rurali acquistasse una forza ancor maggiore nei confronti del contadini siciliani, i quali, pur lavorando in condizioni spesso ingrate, erano animati da fermissimo ed esemplare spirito di sacrificio e di laboriosità (22).

La visita del capo del governo era stata preparata nei minimi particolari: apprendiamo dalle cronache che il capoluogo era stato adornato da festoni e lampade multicolori per accogliere colui il quale dieci anni prima aveva elevato la città a capoluogo di provincia; si narra, tuttavia, che l'illustre ospite andò a letto a lume di candela in quanto l'illuminazione straordinaria preparata per l'evento mandò in sovraccarico la centrale elettrica della Via Pergusa, causando un improvviso black out. I tecnici riuscirono a riparare il guasto soltanto alle prime luci dell'alba tra il disappunto dei notabili locali (23).

Al mattino, Mussolini aveva visitato la vicina miniera di Grottacalda, una delle più antiche solfare di Sicilia, scendendo nelle viscere della terra in tenuta da minatore e – dicono le cronache – suscitando vivo entusiasmo fra gli operai che lo omaggiarono di una piccozza e di un decorativo campione di zolfo cristallizzato.

Negli anni '30, lo zolfo alimentava l’unica industria della provincia ennese (24). Nel 1938, grazie all’accordo protezionistico stilato con gli americani, l’industria italiana dello zolfo, oltre a coprire l’intero fabbisogno nazionale, riusciva ad esportare più dei due terzi della produzione nonostante la grave crisi che affliggeva il settore. La maggior parte dello zolfo veniva estratto nella Sicilia centrale, tra le Provincie di Agrigento, Caltanissetta ed Enna, ove, insieme alle risorse agricole, costituiva uno dei principali mezzi di sostentamento della popolazione (25). Sul piano delle occasioni di socialità, gli anni Trenta innovarono ben poco: le principali occasioni di svago restarono correlate alle ricorrenti feste e processioni religiose che ebbero nuovo slancio grazie al fatto che tra le varie disposizioni contenute nei Patti Lateranensi del '29 v'era quella relativa al riconoscimento della personalità giuridica delle confraternite. Il Concordato, aveva stabilito che le istituzioni religiose laicali, civilmente riconosciute, dovessero essere regolate da propri statuti e dipendere dalla diocesi di appartenenza. La principale novità degli anni Trenta fu la proliferazione delle grandi sfilate (foto 21) e dei cortei accompagnati dalla banda cittadina, le marce in uniforme (foto 22), nonchè i comizi e le manifestazioni ginniche finalizzate a coalizzare le masse nella cultura fascista e nella celebrazione dell'"uomo nuovo".

Al fine di dotare il capoluogo di specifici spazi per la cultura e il tempo libero, nella metà degli anni '20, in Piazza VI dicembre, fu edificato il grazioso Cinema San Marco (foto 23), in stile liberty, nel quale si esibivano compagnie di prosa, d’avanspettacolo e di cabarettisti, tra i quali Angelo Musco e Rosina Alselmi, una coppia tra le più note e amate nell’ambiente teatrale.

Nel 1931, dopo il trasferimento degli uffici comunali nel nuovo Palazzo di Città di Piazza Coppola, venne collaudato il Teatro Garibaldi (foto 24).

La Torre di Federico e il Castello di Lombardia erano i monumenti più rappresentativi del capoluogo, la prima venne valorizzata attraverso la creazione di un parco funzionale alla Colonia montana estiva, mentre del secondo, essendo ormai da secoli adibito a carcere, venne precluso qualunque uso diverso. Il comune, in vista di un migliore utilizzo dell'antico maniero, tra i più belli e più grandi d'Europa, deliberò la concessione a titolo gratuito del suolo per la costruzione di un nuovo edificio carcerario nel quartiere del Mulino a Vento. Liberato il castello, per cui Tito Livio definì Enna inespugnabile e celebre più di quanto Cicerone, Claudiano e Ovidio la credessero per il culto di Cerere e per il Ratto di Proserpina, non restò che mettere in atto ciò che fin dall'autunno del 1936 si pensò di fare allorquando il poeta Gigi Macchi, Paolo Savoca e l’Avv. Antonino Li Voti, Presidente dell'Ente Provinciale del Turismo, si recarono al castello in compagnia della cantante lirica rumena Stella Roman, la quale dopo essersi esibita in cristallini gorgheggi, diede conferma dell'idoneità del sito (26), all'epoca sede di espiazione del delitto, a trasformarsi in luogo di spettacolo e di divertimento. Il 24 luglio del 1938, con la rappresentazione dell'Aida di Giuseppe Verdi (foto 25), venne inaugurato quello che fu subito ribattezzato il "Teatro più vicino alle stelle" (foto 26 - 27). Aida venne interpretata dal celebre soprano Maria Caniglia, Radames dal tenore Emilio Marinescu, direttore di orchestra fu il comm. Giacomo Armani, l'apparato artistico prevedeva ben 250 comparse, 120 orchestrali, 30 bandisti, 12 trombe egiziane, 100 coristi, 24 ballerine (27): fu un tripudio di luci e di applausi che si protrasse fino al 1992.

Nella circoscrizione territoriale della Provincia di Enna rientravano 20 comuni, la maggior parte dei quali potevano vantare una storia millenaria al pari di quella del capoluogo, si pensi ad Agira, Centuripe, Troina, Cerami, Gagliano Castelferrato, Nicosia, Valguarnera, Pietraperzia e Assoro (un antico adagio siciliano recitava: <<prima Assoro e poi Roma>>), ma anche Piazza Armerina, Aidone, Barrafranca, Regalbuto, Sperlinga, Calascibetta, Nissoria, edificate in epoca medievale sebbene sorgessero in zone già occupate da piccoli insediamenti ben più antichi. Di costruzione più recente ma non meno importanti dal punto di vista storico, artistico e ambientale, Leonforte, Catenanuova e Villarosa. Il consorzio umano di queste remote comunità del centro della Sicilia, legate da tradizioni riconducibili all'antichissimo culto agrario demetriaco, rappresentava un peculiare patrimonio sociale, culturale ed economico che la nuova entità territoriale non mancò di rinsaldare e valorizzare. Così, i comuni della provincia, grazie anche all'ammodernamento della rete viaria e ferroviaria, intensamente perseguito per tutti gli anni Trenta, uscirono dal loro isolamento e poterono intrecciare rapporti sempre più saldi con Enna capoluogo in un reciproco scambio di risorse che, senza dubbio, avvantaggiò l'intero tessuto sociale, il quale, con lo sviluppo dell'apparato burocratico e, di riflesso, delle attività artigianali, commerciali e libero – professionali, tese ad affrancarsi dal legame esclusivo con la terra che, fino a quel momento, aveva caratterizzato il modus vivendi. Questo trend positivo iniziò, purtroppo, a rallentare proprio alla fine degli anni Trenta, allorquando cominciarono a spirare i venti di guerra che, con la sottoscrizione, nel 1939, del <<Patto d'Acciaio>> con la Germania nazista, nel volgere di pochi anni avrebbero fatto precipitare l'Europa, l'Italia ed anche la solitaria Provincia di Enna, isola nell'isola di Sicilia, nello spaventoso incubo della Seconda Guerra Mondiale. Il grande scrittore ennese, Nino Savarese, avendo vissuto la parabola del fascismo, da vero intellettuale guardava con distacco la storia, tuttavia, commentando la caduta del dittatore dalla sua casa di campagna, da dove vedeva giungere la guerra, scrisse: <<Confessiamoci tutti colpevoli. Le colpe di un uomo hanno così profondamente potuto incidere nel nostro destino: perché erano anche colpe nostre, perché i suoi difetti erano i nostri difetti>> (28).

In questa prospettiva potremmo vedere l’Italia di ieri, ma anche l’Italia di oggi, di domani, di sempre.

 

(Estratto da un mio articolo „Enna 1927 – 1940: il fascismo in una nuova provincia“, pubblicato su „Studi Storici Siciliani“, rivista trimestrale di storia della Sicilia moderna e contemporanea, opera monografica „Gli anni trenta in Sicilia“, Marzo - Giugno 2023, ed. C.I.R.C.E.).

Note 1) B. Mussolini, Discorso dell'Ascensione: il regime fascista per la grandezza d'Italia, pronunciato il 26 maggio 1927 alla Camera dei deputati, Libreria del Littorio, Roma, 1927, p.25 –-26. 2) L. Prestipino, Enna una microstoria del XX secolo, Casa Editrice Papiro, Enna, 2013, vol 1, p. 149. 3) G.Polverelli, Il discorso di un nemico, in Il Popolo d'Italia, 12 aprile 1923. 4) L. Sciascia, Invenzione di una prefettura, Bompiani 1987. 5) E‘ noto, peraltro che, poco prima di morire, nel 1921, Colajanni, pur riprovando apertamente la violenza a cui sovente i fascisti facevano ricorso, aveva preso in considerazione il fascismo, attribuendogli il ruolo di argine al bolscevismo, in difesa della libertà. Del resto, la frequentazione tra i due è attestata da incontri personali e scambi epistolari. 6) ://www.provincia.enna.it/pagina133801_lo-stemma.html. La preferenza simbolica non poteva non ricadere sulla figura ieratica della Cerere Ennese, che da millenni aveva ispirato la religione, la cultura e le tradizioni della popolazione locale, fin dai tempi in cui il santuario demetriaco, ubicato sull’antica rocca, era considerato uno dei più importanti della civiltà greco - romana, tanto da essere tradizione diffusa che la dea delle messi fosse nata e cresciuta in questi luoghi remoti.7) Cicerone, In Verrem: 02; 04-111-115. 8) Giornale di Sicilia, 26 marzo 1929. 9) https://ennavivi.it/2014/04/01 /mori-il-prefetto-di-ferro-decise-piazza-armerina-capoluogo-mussolini-era-daccordo-ma-non-se-ne-fece-nulla/. 10) Francesco Longo sostiene anche che, almeno fino al luglio del 1943, dal territorio ennese scomparvero i delitti di abigeato, furto e incendio doloso F. Longo, Cronaca della Città di Enna dal 1861 al 1981, Renzo Mazzone Editore, Palermo 1981, p.20. 11) Bollettino del Comando Camicie Nere della Sicilia, dispensa n.4, Palermo, 29 gennaio 1935, p.200. 12) E. Coppola, Aspetti principali della Agricoltura Ennese, Eduardo Scandaliato & Figlio, Enna, 1938, p.25. 13) Ibidem 14) Nallo Mazzocchi Alemanni, La conquista della terra,in “Rassegna dell’Opera Nazionale per i Combattenti”, n. 10-11, ottobre novembre 1937. 15) E. Coppola, Aspetti principali della Agricoltura Ennese, Eduardo Scandaliato & Figlio, Enna, 1938, p.25. Ivi, p.30 e ss. 16) Si veda per questi aspetti Tino Vittorio, Il lungo attacco al latifondo…cit, pp. 17 e segg.. 17) Fin dal 7 marzo 1855 il Lago di Pergusa era in mano privata, in quanto il nobiluomo Eugenio Potenza se lo era aggiudicato al pubblico incanto per la rendita annuale di 310 ducati, da devolere in favore dell'opera pia delle <> alla quale era stato assegnato dal Consiglio cittadino di Enna nel lontano 1674. In seguito, con sentenza del 4 aprile 1932, il Tribunale delle Acque di Palermo dichiarò la demanialità del lago, rigettando la domanda degli eredi del Potenza diretta ad escluderlo dall'elenco delle acque di interesse pubblico. F. Longo, Cronaca della Città di Enna dal 1861 al 1981, Renzo Mazzone Editore, Palermo1981, p. 24. 18) Effettivamente, da oltre duemila anni, l’economia di questa zona interna della Sicilia, per sua natura esclusa dalle redditizie rotte commerciali marittime, si basava sull’agricoltura che, secondo le antiche credenze, sarebbe nata in questi luoghi tanto da indurre i suoi primi abitanti ad elaborare il rinomato mito del ratto di Proserpina / Persefone ad opera di Plutone / Ade, dio degli Inferi. Secondo antichissima tradizione diffusa anche tra gli autori, Proserpina fu rapita da Plutone nei pressi del Lago di Pergusa, vicino a Enna e trascinata sotto terra, nel regno dei morti. Solo un compromesso tra gli dei risparmiò gli uomini dalla perenne sterilità della terra imposta dal dolore di Cerere / Demetra e consentì alla di lei figlia, Proserpina, di tornare sulla terra per alcuni mesi l’anno durante i quali la natura ritornava a fiorire. Invero, l'ingegnosa casta sacerdotale, personificando gli arcani della natura, tradusse in culto le accidentalità che concorsero alla scoperta del grano, cosicché Cerere, personificazione della terra, trovava Proserpina, il grano, la perdeva, perché il grano era affidato alla terra; le veniva rapita da Plutone, perché il fuoco, la forza generatrice della terra, tratteneva e sviluppava il germe del grano; dopo sei mesi la rinveniva perché in tale periodo il grano germogliava e maturava. 19) L'opera, finanziata in parte dal municipio ed in parte dall’Associazione Pro Enna, su progetto dell’Architetto Vincenzo Nicoletti Guarnaccia veniva eseguita dalla Ditta Venezia di Palermo. La grande vasca circolare veniva realizzata in pregiato marmo di Billiemi mentre il gigantesco gruppo statuario, raffigurante il rapimento, veniva realizzato in bronzo fuso nella fonderia della Società Anonima Chiurazzi di Napoli sul modello della celebre opera in marmo del Bernini, esposta nella Galleria Borghese di Roma. Il progettista, con slancio magnanimo, aveva rinunciato a ogni compenso, ricevendo la ricompensa onorifica di una medaglia d'oro. Questa fontana è ancora oggi uno dei simboli del capoluogo ennese e dell’intera Provincia. 20) La Voce d'Italia, Anno III, n.33, 15-16 agosto 1937. 21) E. Coppola, Aspetti principali della Agricoltura Ennese …cit, Ivi, p.24. 22) La Voce d'Italia, Anno III, n.33, 15-16 agosto 1937. 23) S. Presti, Enna - il filo della memoria, Edizioni NovaGraf, Assoro, 2013, p.214. 24) L’uso dello zolfo ad Enna è attestato fin dall’Età del rame come si evince dalle recenti indagini archeologiche nel villaggio preistorico di Case Bastione in territorio di Villarosa (EN), che ha restituito una piccola fornace in cui lo zolfo venne adoperato nei primi esperimenti di metallurgia da parte dei più antichi abitanti della Sicilia. Lo zolfo aveva un vasto campo di applicazione: fin dai primordi venne utilizzato come combustibile, in combinazione con le ossa di animali, per raggiungere il grado di fusione dei metalli; molto apprezzate erano le sue proprietà medicamentose ed antisettiche. Successivamente trovò largo impiego anche in campo agricolo, bellico e industriale. 25) L’uso dello zolfo ad Enna è attestato fin dall’Età del rame come si evince dalle recenti indagini archeologiche nel villaggio preistorico di Case Bastione in territorio di Villarosa (EN), che ha restituito una piccola fornace in cui lo zolfo venne adoperato nei primi esperimenti di metallurgia da parte dei più antichi abitanti della Sicilia. Lo zolfo aveva un vasto campo di applicazione: fin dai primordi venne utilizzato come combustibile, in combinazione con le ossa di animali, per raggiungere il grado di fusione dei metalli; molto apprezzate erano le sue proprietà medicamentose ed antisettiche. Successivamente trovò largo impiego anche in campo agricolo, bellico e industriale. 26) A. Severino, EnnaOnLine, n.2, 1 giugno 2003, p.10. 27) Rivista dell'Ente Provinciale per il Turismo di Enna, Stagione lirica al Castello di Lombardia, anno V, n.6, 24 luglio 1938. 28) N. Savarese, Cronachetta siciliana dell'estate del 1943, Sandron, Roma, 1944, p.63.

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