9
ago
2017
Rosario Gisana. Il vescovo degli ultimi
Il vescovo di Piazza Armerina si racconta
«Grazie. Faccio da solo». È dai piccoli particolari che si giudica un personaggio. Rosario Gisana, vescovo della diocesi di Piazza Armerina, liquida con determinata gentilezza la solerzia untuosa delle ritualità. Niente fronzoli per il giovane presule, 57 anni, originario di Modica. Nel febbraio del 2014 Papa Francesco gli ha conferito l’incarico di presiedere una delle diocesi più prestigiose della Sicilia. Cattedra vescovile ricoperta nei primi anni del Novecento da Mario Sturzo, filosofo antifascista, fratello del più noto Luigi Sturzo, fondatore del partito popolare. Simboliche e indicative le prime risoluzioni del nuovo vescovo. «Il mio autista personale è stato ricollocato in un altro incarico. Liquidata l’auto di rappresentanza e sostituita con un’utilitaria che guido personalmente». Studi presso l’Almo collegio Capranica di Roma, laurea in Scienze bibliche e Patrististiche all’università Gregoriana. Delegato per la cooperazione missionaria tra le Chiese in seno alla Conferenza episcopale siciliana. Monsignor Gisana è un attento osservatore dei nuovi linguaggi: «Senza il computer non saprei come fare – sottolinea il vescovo – Scrivo e appunto tutto sul mio laptop. Appuntamenti, impegni, lettere pastorali, indicazioni, pensieri». Un’attenzione per le nuove tecnologie che si è tradotta in un sito internet dinamico della diocesi di Piazza Armerina. On-line la possibilità di inviare quesiti al vescovo, i suoi discorsi ufficiali si possono scaricare in pdf. Una diocesi complessa che si estende dall’Ennese fino a Gela accomunata da un bisogno primario: il lavoro. Il territorio più bisognoso d’Italia. «Enna e Gela sono ambiti diametralmente opposti – sottolinea il vescovo – In questi due anni ho avuto modo di percorrere migliaia di chilometri e ammirare la bellezza dei luoghi. È inspiegabile questo stato di cose. Un territorio che può contare su risorse impareggiabili. Dall’archeologia all’agricoltura, dai boschi al mare. Non ci sono attenuanti. Non è tollerabile che in questo territorio si registrino le percentuali più alte di disoccupazione e povertà. Credo di poter dire che questo stato di cose sia il frutto di uno sfrenato e infruttuoso individualismo. Provengo dal Ragusano, una Sicilia dove alberga il senso compiuto della comunità, della cooperazione. Spero di poter fornire alla mia diocesi un contributo che muova in questa direzione. Abbiamo già dato vita a una cooperativa di giovani, Bythirah. Ragazzi ai quali è stato concesso in comodato di trasferimento il seminario vescovile di Montagna di Gebbia. Portano avanti un progetto agroalimentare e di turismo rurale. Instillare dunque una metodica di cooperazione, una prototipia. Fare rete. Pensare in termini plurali. L’intento è quello di porre un freno al continuo impoverimento di forze giovani». Una circoscrizione vescovile che annovera anche luoghi simbolici nella geografia mafiosa dell’Isola. «La mafia è uno stato mentale. Non è solo un fenomeno malavitoso – sintetizza deciso il presule – È corretto e indispensabile dire con chiarezza quale è il vero problema. Senza scadere nell’abusata estetica del dolore, nelle frasi di circostanza. Il problema vero è quello di scardinare l’assunto che ha permeato ogni aspetto del quotidiano e del sociale. Mafiosi non sono solo i delinquenti conclamati. Mafiosi sono anche gli abusi del potere, le sopraffazioni continue, le soverchierie, le elusioni. La mafia si può scardinare solo educando i giovani al rispetto delle regole e fornendo loro la dignità del lavoro». Affermazioni che sembrano inusitate per un pastore. «Il Vangelo se non è sociale non ha significato – ribadisce monsignor Gisana - Un prete deve stare tra la gente. A Gela sono andato tra gli operai in cassa integrazione. Non in termini sindacali. Ho frequentato le loro famiglie. Ho toccato con mano le loro difficoltà. Questa è la mia confessione di fede. Il mio modello ecclesiologico è una Chiesa dei margini, degli ultimi». Considerazioni e azioni che invalidano assunti consolidati. «Il vescovo non è un principe altolocato – puntualizza ancora il vescovo – La misura del mio agire è quello della gente semplice. Come la famiglia dalla quale provengo. I miei sacerdoti osservano incuriositi. Ma il loro vescovo è fatto così». Una semplicità dell’agire che il Gisana ha voluto sintetizzare financo nello stemma vescovile. Nella seconda campitura, una figura mai utilizzata in uno stemma prelatizio: un muretto a secco. Blocchi di pietra, regolari, disposti con fatica e determinazione. Un rimando alle sue origini ragusane e al suo assunto pastorale. Disciplina e preghiera, scandiscono le giornate del vescovo armerino. «Sveglia all’alba. Palestra e preghiera – spiega il capo della diocesi armerina – Non ho voluto dimenticare la mia antica passione: lo sport. Da giovane ho praticato il mezzofondo. La mia mattina è scandita da tapis roullant, speed bike e preghiera. Una metodica che mi aiuta ad affrontare i numerosi appuntamenti che mi accompagnano per tutta la giornata. La sera, la dedico allo studio ecclesiologico in compagnia di pensatori come Rahnere Vitali».
«Siamo tutti responsabili». È stata questa la sferzante dichiarazione di responsabilità pronunciata dal vescovo Gisana celebrando i funerali di un recente tragico accadimento. «L’uccisione delle due bambine di Gela è un episodio non solo drammatico ma emblematico – sottolinea il vescovo – Il protagonista tragico di questa vicenda è il dramma della solitudine, della depressione. Un fenomeno che anche noi preti dobbiamo imparare ad affrontare. Spesso, il sacerdote è il primo al quale si chiede un aiuto di ascolto. Il campo dello spirito e della psiche sono differenti ma similari. La comunità dei religiosi dovrà imparare ad ascoltare e indirizzare i fedeli verso specialisti ed esperti. Ecco perché siamo tutti responsabili. Dobbiamo imparare tutti ad ascoltare gli altri».
Concetto Prestifilippo