Rovistare nel cassetto della storia, della memoria per raccontare e per vivere con consapevolezza il territorio. Questo lo scopo della rubrica che aiuterà a comprendere e conoscere il passato e soprattutto ad alimentare l’interesse non solo degli appassionati ma dei tanti lettori alla ricerca di curiosità, di notizie inedite o poco conosciute ai più.

Gaetano Cantaro
Di professione Avvocato, è collezionista di arte antica ed appassionato di storia. Ha partecipato come consulente alla realizzazione di diversi eventi culturali, mettendo a disposizione le opere del proprio archivio storico, con il fine di promuovere la conoscenza e la tutela del territorio.


La passione di Cristo nella collezione Alessi

L’Imago pietatis raffigurata in foto (fig. 1) faceva parte della collezione del canonico ennese, Giuseppe Alessi (1774-1837), ed era esposta nel suo omonimo museo, purtroppo, chiuso da tanti, troppi anni. Il tema dell’Uomo dei dolori (Vir dolorum), di origine bizantina, divenne molto popolare nel XIV sec. e per tutto il Rinascimento. Il Cristo mostra evidenti i segni della passione ma, allo stesso tempo, sembra emergere dal sarcofago così sintetizzando la sofferenza e la resurrezione. La figura centrale di Gesù è circondata dagli strumenti della Passione: alle sue spalle si scorgono la croce, la frusta, la scala, i dadi, la lancia, le catene, la colonna, la canna utilizzata per porgere la spugna impregnata di aceto nonché il martello, la tenaglia e i chiodi. A sinistra è raffigurata la Madonna Addolorata, a destra Maria Maddalena. L’opera, di qualità eccelsa, trova notevoli analogie scenografiche con un dipinto (fig. 2) datato 1470, esposto nel Castello di Wawel, a Cracovia, eseguito dal pittore spagnolo di scuola ispano fiamminga, Miguel Ximénez, attivo fino al 1505. Le somiglianze sono tali da indurre ad ipotizzare che l’anonimo autore del dipinto ennese possa essere un seguace dello Ximénez ovvero un valente artista che con lui abbia avuto dei contatti. In ogni caso, lo stile rinascimentale del sarcofago ne sposta l’epoca di esecuzione ai primi anni del XVI sec., epoca in cui gli scambi culturali tra Sicilia e Spagna furono particolarmente intensi in virtù del comune dominio aragonese. In entrambe le opere, dal costato del Cristo fuoriesce un fiotto di sangue che si riversa dentro un calice gotico appoggiato sul sepolcro. Tale singolare rappresentazione ci riporta al leggendario “Santo Graal”, la coppa con la quale Gesù celebrò l’ultima cena e nella quale Giuseppe di Arimatea avrebbe raccolto il sangue sgorgato dal corpo di Cristo, trafitto dalla lancia del centurione romano. Il Graal rappresenta, fin dal medioevo, il simbolo stesso della ricerca dell’assoluto, risultante dalla fusione del tema celtico cavalleresco con la tradizione del Vangelo apocrifo di Nicodemo. L’idealizzazione del Graal come custodia del sangue di Cristo (sia nell’accezione mistico-simbolica dell’eucarestia, sia in quella più concreta della crocifissione) avvenne in un’epoca in cui si diffuse il culto del sangue di Cristo, tanto da portare all’istituzione della festa del Corpus Domini (bolla Transiturus dell'11 agosto 1264). Del resto, la coppa era simbolo di regalità e di abbondanza in tutte le culture indoeuropee; non a caso coppe e bacili erano strumenti utilizzati per i riti divinatori, così come per la preparazione di potenti filtri. Il dipinto del Cristo in passione della collezione Alessi contiene altre particolarità degne di rilievo, non presenti nel prototipo del 1470.Nella parte destra, tra il Cristo e la Maddalena, emergono infatti due figure enigmatiche. Si scorge, in basso, il profilo linguacciuto di un demone (fig. 3) volto a schernire il Cristo e forse a persuaderlo che persino il diavolo si prende cura dei suoi figli mentre Dio permette che il suo venga torturato. Poco sopra la testa del demone si scorge una “manufica” cioè una mano con il pugno chiuso che stringe il pollice tra l’indice e il medio. A tale gesto, fin dall’epoca greco - romana, veniva attributo un significato dispregiativo e, allo stesso tempo, una valenza apotropaica diretta ad allontanare le persone malvagie ed il malocchio. Paradossalmente, nell’opera in esame, il diavolo rivolge la mano verso Cristo. Di tale antica mossa si narra anche nell’Inferno dantesco allorquando Dante incontrò Vanni Fucci, noto ladro sacrilego ed omicida. Quest’ultimo, vergognatosi delle proprie condizioni ed in linea con il sacrilegio compiuto in vita, compì un gesto terribile verso Dio: “Alla fine delle sue parole il ladro / le mani alzò con ambedue le fiche, / gridando: Togli, Dio, ch’a te le squadro !” Subito dopo, Fucci venne stritolato dai serpenti. È evidente come le opere d’arte siano foriere di molteplici e spesso ermetici messaggi che l’artista ha inteso trasmettere insieme al proprio bagaglio culturale, come in questo caso in cui l’Imago pietatis, riassumendo i motivi della Pietà e dell’Ecce Homo”, diventa oggetto di meditazione sul mistero della Redenzione ispirata dal Cristo, il cui conferimento d’amore raggiunse il culmine alle ore 3 di pomeriggio di quel giorno lontano allorquando tutto fu compiuto: la grande rivoluzione umana ebbe inizio e nulla fu più come prima.

 

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Categorie: I Comuni, Storia e arteNumero di visite: 784

Tags: giuseppe alessi Miguel Ximénez

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