Rovistare nel cassetto della storia, della memoria per raccontare e per vivere con consapevolezza il territorio. Questo lo scopo della rubrica che aiuterà a comprendere e conoscere il passato e soprattutto ad alimentare l’interesse non solo degli appassionati ma dei tanti lettori alla ricerca di curiosità, di notizie inedite o poco conosciute ai più.

Gaetano Cantaro
Di professione Avvocato, è collezionista di arte antica ed appassionato di storia. Ha partecipato come consulente alla realizzazione di diversi eventi culturali, mettendo a disposizione le opere del proprio archivio storico, con il fine di promuovere la conoscenza e la tutela del territorio.


Euno - Antioco. Lo schiavo che sognava la libertà

Un personaggio astuto che aveva osato mettere in discussione il potere di Roma

 

Venti secoli prima che la civiltà umana riconoscesse a ogni uomo il diritto di disporre liberamente della propria vita, vi fu nella rocca ennese uno schiavo che conquistò per sè e per i suoi compagni di sventura questa naturale aspirazione di ogni creatura. Egli era chiamato Euno (dal greco Εὔνους = benevolo), proveniva dalla lontana città di Apamea, in Siria, ed era “in proprietà” di un signorotto romano, tale Antigene di Enna. 

Dopo la fine delle guerre puniche un altissimo numero di schiavi, provenienti dall’Oriente, venne a concentrarsi nell’isola di Sicilia, la quale divenne un centro di vitale importanza per la ricchezza e la prosperità dell’antica Roma sia dal punto di vista strategico - militare che da quello economico - alimentare, come tale sottoposto ad uno sfruttamento senza scrupoli. Molti schiavi erano originari della Siria, assoggettata dai Romani insieme a ciò che rimaneva dell’impero di Alessandro Magno. 

Nel mondo antico la schiavitù discendeva dal “diritto di guerra” e riguardava solitamente gente straniera vinta in battaglia che veniva comprata dai mercanti nei porti dell’Egeo e rivenduta a facoltosi proprietari terrieri che assicuravano ampie risorse alimentari a Roma e ai suoi eserciti. In molti casi si trattava di schiavi istruiti o di militari che, nei paesi di origine, avevano ricoperto prestigiose cariche pubbliche. Nella quasi totalità essi parlavano greco e proprio la koinè ellenistica fu il presupposto che favorì l’insurrezione: seppero tra di essi comunicare, organizzarsi ed insorgere per contrastare le disumane condizioni cui erano costretti. 

La principale fonte storica della prima guerra servile è offerta da Diodoro Siculo di Agira (90 a.C. - 27 a.C.) il quale, nel riportare notizie trasmesse dallo storico Posidonio di Apamea (concittadino di Euno, vissuto tra il 135 a.C. ed il 50 a.C.), ci descrive Euno come una sorta di ciarlatano, ciò forse al fine di sminuire la portata storica del personaggio che aveva osato mettere in discussione il potere di Roma (contro cui Diodoro non aveva certo interesse a porsi in contrasto, così come lo stesso Posidonio, intimamente legato al partito aristocratico conservatore). In realtà, Euno era uomo molto astuto, capace di attirare l’attenzione attribuendosi capacità magico divinatorie non diversamente da altri ben più fortunati personaggi del mondo antico che sfruttarono la credulità popolare delle masse al fine di esercitarne il controllo per conseguire risultati di certo meno nobili di quelli del quasi dimenticato eroe ennese.  

Si riteneva che Euno avesse il potere di predire il futuro avvalendosi di impressionanti artifizi di prestidigitazione. In particolare, si narra che, per ispirare la solennità del vaticinio e rendere credibile la sua furente estasi, introducesse in bocca una noce svuotata del gheriglio e riempita di zolfo, sicchè vi soffiava dentro riuscendo, tra le parole, a sprigionare fuoco e fiamme nello stupore degli astanti (fig.1, dal manoscritto di Padre Giovanni dei Cappuccini di Enna, 1730-1752). La singolarità del personaggio era apprezzata dai ricchi patrizi romani tanto che il suo padrone sovente lo portava ai banchetti, ove si esibiva con spettacoli di magia e vaticini, suscitando l’ilarità dei commensali. Infatti, Euno raccontava, anche pubblicamente, di un sogno durante il quale gli sarebbe apparsa la dea della fecondità e della divinazione, Atagartis, il cui antico culto, di origine siriana, era caratterizzato da esaltazioni visionarie e profetiche da parte dei sacerdoti. In tale occasione la dea avrebbe promesso a Euno la regale dignità: egli sarebbe diventato il re di un popolo libero. L’inverosimile racconto diventava spettacolo per i banchettanti i quali deridevano Euno interrogandolo su quale sarebbe stato il loro destino: Euno, rispondendo in modo serio e deciso, prometteva a tutti clemenza e favori muovendo il riso dei presenti, i quali gli offrivano addirittura parte dei pasti, rinnovando la preghiera che, una volta diventato re, si ricordasse di loro; ed il “buffone” rinnovava la promessa fatta che, per certo, da lì a poco avrebbe mantenuto nei confronti di chi avesse dimostrato un briciolo di umanità.

Nel frattempo il malcontento della massa di infelici cresceva, alimentato dal ricco possidente ennese Damofilo e della di lui moglie, Megallide, particolarmente crudeli con la moltitudine di schiavi di cui erano proprietari. Gli storici riferiscono che costoro si deliziavano, “con iraconda compiacenza, a vedere flagellare gli schiavi, orbarli e sino all’osso calcarne con accesi carboni le misere polpe, dilaniandoli infine con ingiusti non meno che inusitati tormenti” (1).

Euno, interrogato dai compagni di sventura, atteggiandosi come ispirato dal cielo, confermava la profezia e li invitava a tenersi pronti. Finalmente, nella primavera del 136 a.C., circa 400 schiavi ruppero gli ergastoli e, armati come potevano, insorsero in massa guidati da Euno che spirava dalla bocca le suggestive fiamme (fig. 2, “La rivolta degli schiavi” di Francesco Sciortino, palazzo Chiaramonte Enna). 

Uccisi i propri padroni, si uccidevano quelli degli altri in una mattanza generale come se la giustizia divina fosse piombata addosso a quei miserabili in ricca porpora per punirne la crudeltà; i pochi proprietari che, prima della rivolta, ebbero modo di lasciar trasparire un barlume di pietà umana furono risparmiati, come promesso da Euno.

Gli schiavi, in massima parte nati liberi, erano per lo più greci di lingua e cultura, per cui una loro iniziativa autonomistica contro Roma non poteva non trovare il consenso anche delle altre città siceliote in cui la rivolta trovò ampio consenso tanto da infiammare tutta la Sicilia e passare alla storia come Prima Guerra servile, la prima insurrezione popolare della storia contro il giogo della schiavitù.

Euno si pose a capo dei rivoltosi, cingendo la corona regale sulla propria testa, così come gli aveva predetto la sua dea Atagartide (di cui forse fu sacerdote in terra natía), costituendo a Enna un piccolo regno ellenistico sullo stampo della grande monarchia seleucide, seguita alla spartizione dell’immenso impero di Alessandro Magno ad opera dei suoi generali, tra i quali Seleuco I. Assunse così il titolo di re e il nome di Antioco forse richiamandosi al nome dei figli di Seleuco I, i quali governarono un impero che comprendeva Mesopotamia, Persia, Asia Minore e Siria, da cui proveniva Euno. 

Purtroppo non sapremo mai se Εὔνους, il benevolo, fosse un nome affibbiatogli quando giunse a Enna da schiavo ovvero se il suo vero nome fosse quello di  Ἀντίοχος che ha l’opposto significato di “chi si scontra” o di “chi sta saldo contro il nemico”.  Considerata la grande astuzia del personaggio, sarebbe legittimo ritenere che egli avesse indossato i panni del docile agnello per poi sorprendere la tirannide romana, come Davide contro Golia.

Alla rivolta partecipò anche il prode generale greco Acheo di Achaia, uomo sobrio e giusto, dotato di grande capacità strategica e militare tanto da essere subito nominato consigliere del Regno degli schiavi. Egli, nei primi tre giorni della rivolta riuscì a radunare un esercito di ben 1.700 uomini alla meglio armati ed una folla più numerosa fornita di asce, mannaie, frombole, falci, spiedi e bastoni appuntiti con il fuoco sicchè il numero della forza superò i 10.000 uomini, riuscendo a sbaragliare diverse guarnigioni dell’esercito romano. Lo schiavo Cleone di Cilicia, dopo aver sobillato Agrigento, in meno di 30 giorni raccolse altri 5.000 ribelli che si unirono alle truppe di Euno-Antioco, dal quale venne nominato generale. 

La rivolta ben presto si estese a tutta la Sicilia ove altri schiavi proclamarono la propria libertà affrancandosi dal giogo romano: Enna divenne la capitale del Regno degli schiavi di Sicilia. 

Sebbene tale regno sia durato pochi anni, Euno-Antioco riuscì ad apprestare una organizzazione politico amministrativa della comunità, tanto da riuscire a battere una serie monetale in bronzo di cinque emissioni, i cui rarissimi esemplari erano custoditi all’interno del museo Museo Alessi di Enna. Le monete (fig.3), pubblicate nel 1990 dal compianto numismatico e collezionista, Enzo Cammarata, ci restituiscono il profilo di Euno cinto da un diadema annodato dietro la nuca e la legenda greca tradotta in Antioco re. Il noto epigrafista, Giacomo Manganaro, ne pubblicò un unico esemplare in oro ritrovato nella campagne di Morgantina, raffigurante da un lato un profilo maschile con i capelli sciolti (Euno ?), dall’altro una vittoria alata che reggeva una corona (fig.4). Quest’ultimo esemplare, tuttavia, è dubbio se sia stato coniato durante la prima o la seconda guerra servile sebbene sembra certa la coniazione ad opera dei ribelli in quanto Roma vietava la produzione di monete d’oro nei territori occupati.

Ulteriore testimonianza del tumultuoso evento sono le ghiande missili in piombo (fig.5, Museo Archeologico A. Salinas di Palermo), lanciate dai frombolieri e collezionate agli inizi dell’800 dal celebre concittadino ennese, canonico Giuseppe Alessi. Tali “proiettili”, venivano spesso trovati dai contadini nelle pendici di Enna con particolare concentrazione sotto la Rocca di Cerere ed in località “Cozzo Impiso”. Era proprio su tale altura (fig.6) che si stanziarono, infatti, le truppe romane del Console Lucio Pisone (da qui il toponimo corrotto in “Impiso”) allorché, nel 133 a.C., provarono, inizialmente senza riuscirci, ad espugnare con la forza la rocca ennese. Nei secoli a venire, alcuni appellarono tali proiettili “cugni di tuono", credendoli rimedi contro i fulmini, altri li ritennero palle da gioco, altri li ritennero cose sacre, altri ancora li fusero per farne proiettili per la caccia. Fortunatamente, Alessi ne riuscì a salvare un significativo numero, custodito nell’omonimo museo (purtroppo chiuso ed inaccessibile da diversi anni), ma la cosa più interessante è lo studio che egli fece di questi oggetti in una sua rarissima pubblicazione del 1815 (2. fig.7). Alcune ghiande missili in piombo (fig.8), recano al recto l’iscrizione in rilievo “L.PISO.L.F” (Lucio Pisone figlio di Lucio) al verso “COS” (Console), altre (fig.9) recano impressa, al recto, una clava ed al rovescio il fondo della sacca della fionda; Alessi ritenne quest’ultima tipologia consacrata ad Ercole. Un'altra era contrassegnata con la lettera K. Si ritiene che questi ultimi due esemplari di ghiande fossero utilizzati dai soldati di Euno, come confermato anche da uno studio del Salinas del 1878. 

Nel 1829, il canonico Alessi annunciò (3) il rinvenimento di una ghianda missile (fig.10) recante il nome di Acheo, generale degli schiavi ennesi in rivolta, capeggiati da Euno, in essa si leggeva in greco antico: “HAKEOC NIKH”, “Acheo ! Vittoria !”. Al recto Alessi scorse le prime lettere di “Antioco” (Euno). Oggi nulla si sa più di tale prezioso reperto pressoché sconosciuto.

L'esercito dei ribelli entrò in Morgantina, Catania e Taormina, raccogliendo sulla strada nuovi soldati, fino ad arrivare a formare una legione di ben 200.000 uomini. La rivolta passò dunque da sommossa di tipo servile a una vera e propria guerra di liberazione, vera antesignana dei Vespri siciliani. 

Nel primo anno di guerra i rivoltosi riuscirono ad assediare anche Messina, tuttavia la riscossa romana iniziò proprio da questo episodio, quando il console Publio Rupilio, alla guida di un forte esercito, sconfisse i ribelli durante l’ultimo assalto alla città. Qui circa ottomila isolani persero la vita nella “battaglia dello stretto”, per impedire l'ingresso in città dei Romani, i quali riuscirono a espugnare l’imponente difesa crocifiggendo altre 8.000 persone. Grazie al tradimento di tale Serapione, i Romani riuscirono a prendere Taormina e fecero precipitare tutti i cittadini giù dalla rupe compreso lo stesso traditore.

Durante l’assedio di Enna ad opera delle truppe romane, Euno organizzò spettacoli teatrali “con cui gli schiavi raffiguravano la ribellione contro i padroni e rinfacciavano loro l’arroganza e la violenza che alla fine li avrebbero portati alla rovina” (4). Fu questa una forma di “teatro rivoluzionario”, unica nel mondo antico, finalizzata a rafforzare l’animo degli assediati nel momento in cui la certezza della sconfitta avrebbe potuto indurli al cedimento.

Dopo la morte in combattimento del grande condottiero Acheo, Cleone scese giù a valle combattendo con un manipolo di audaci. Diodoro Siculo scrive che gli insorti “pugnarono da eroi, Cleone più di tutti, sino a quando, ferito in più parti, spirò sopra un vero monte di romani da lui uccisi”.

L’inespugnabile Enna fu presa grazie al tradimento di un ignoto abitante che indicò la strada ai romani; qui fu compiuta la più grande strage che la Sicilia ricordi: migliaia di cittadini furono massacrati e 1.000 di essi, per sfuggire alla tortura ed alla crocifissione, si gettarono dalla rupe o si uccisero l’un l’altro nei luoghi in cui oggi svetta il Castello di Lombardia.

Euno fu catturato e rinchiuso nel carcere di Morgantina (fig.11, incisione di Tommaso De Vivo, “Storia figurata del Regno delle Due Sicilie”, 1835), dove, secondo il racconto di Diodoro Siculo, morì nel 132 a.C. divorato dai pidocchi. Infatti, i Romani non lo uccisero subito, trattandolo come un sovrano prigioniero.

Nel 1959 l’Istituto Regionale d’Arte di Enna realizzò una mirabile statua in bronzo, raffigurante Euno che spezza le catene (fig.12), che venne collocata nelle pendici del Castello di Lombardia per commemorare quegli epici eventi obliati dal tempo e dagli uomini. La targa in marmo (fig.13) così recita: “duemila anni prima che Abramo Lincoln liberasse l’infelice turba degli schiavi, l’umile schiavo Euno da questa sicana fortezza, arditamente lanciava il grido di libertà per i compagni di sventura, il diritto affermando di ogni uomo a nascere libero ed anche a liberamente morire”.

I nomi di Euno Antioco, Acheo di Achaia e Cleone di Cilicia riecheggiano ancora oggi dall’alto della rocca ennese, riportando alla memoria le prodi gesta di uomini, i quali dimostrarono che non c’è forza più grande di chi è capace di sognare e che l’avversità delle circostanze non giustifica la rassegnazione innanzi alla possibilità di cambiare il corso del proprio destino, anche quando quel sogno potrebbe sembrare una follia.

 

Note: (1) Saverio Scrofani, “Delle guerre servili in Sicilia sotto i Romani”, 1806 e G. De Felice Giuffrida, “Le guerre servili in Sicilia”, Catania, 1911.

(2) Giuseppe Alessi, “Lettera sulle ghiande di piombo iscritte trovate nell’antica città di Enna”, Palermo 1815, Tipografia di Francesco Abbate.

(3) Giuseppe Alessi, “Lettera su una ghianda di piombo inscritta col nome di Acheo condottiero degli schiavi ribelli in Sicilia, indirizzata dal Can. Giuseppe Alessi al suo ornatissimo zio, Monsignor l’abbate Antonino Maddalena”, in Giornale di scienze lettere e arti per la Sicilia, tomo XXV – Anno VII, gennaio, febbraio e marzo, Palermo, Tipografia del giornale letterario, 1829.

(4) Diodoro Siculo.

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