Eugenio Finardi l'extraterrestre della musica italiana che osserva dal palco il mondo che cambia

Nel 2023 due prestigiosi riconoscimenti, il premio Tenco alla carriera e il premio “Giuseppe Trinnanzi” per la poesia

«Per un futuro mondo migliore confido nell’Intelligenza Artificiale, non può essere più stupida di noi umani». L’affermazione, volutamente provocatoria, è di Eugenio Finardi, 71 anni, cantautore, extraterrestre della musica italiana. Una vita trascorsa a percorre ogni chilometro della penisola e osservare dal palco l’Italia che cambia. Nel 2023 le hanno tributato due prestigiosi riconoscimenti, il premio Tenco alla carriera e il premio “Giuseppe Trinnanzi” per la poesia. «Entrambi i riconoscimenti mi hanno piacevolmente stupito. Hanno riconosciuto un valore poetico ai miei testi. Non ho mai osato pensare a una cifra poetica delle mie canzoni. Ho avuto l’onore di conoscere grandi poeti, con estremo rispetto per quelle figure, non ho mai azzardato paragoni. A cinquanta anni dall’uscita del mio primo singolo, questi riconoscimenti mi fanno rivalutare la mia lunga avventura musicale. Una carriera che ho sempre bistrattato. Il fatto che questo lungo processo di ricerca sia promosso a valore poetico, mi fa sentire accolto. Questi premi, proprio nell’anno della pubblicazione del nuovo disco “Euphonia” sono sorprendenti. Una di quelle folgorazioni che non ti aspetti più alla mai età».

Come è nato questo suo nuovo progetto musicale?

«Nel corso del Lockdown, in una Milano deserta. Nel corso del confinamento forzato a casa, sentivo che era necessario infondere una speranza. Mi aveva colpito l’affermazione di un neurologo-musicista. Spiegava che tutti i generi musicali sottendono allo stesso risultato, quello di trascendere. Mantra, vibrazioni, ritmi, cori, trasportano verso stati di coscienza più alti. Ho pensato dunque di comporre una suite. Una composizione costruita come una continua sottrazione. Per il nuovo spettacolo ho eliminato ogni contaminazione, didascalia, discorso, spiegazione. La suite è articolata in strofe di canzoni, accenni, improvvisazioni. Rivolgendo al pubblico una richiesta bizzarra, spiazzante, quella di non applaudire, non battere le mani come gesto dovuto. L’idea è quella di creare un flusso ininterrotto di una musica libera da ogni condizionamento di genere. Scivolando dal Jazz al Blues, dal Fado alla musica napoletana, da Scarlatti a John Cage. Una suite che consenta di stabilire un collegamento con il Cosmo. Una forma di spiritualità, anche per un laico come me. Da mio padre ho ereditato questo bisogno di ricerca dell’Assoluto. Era un bergamasco cocciuto. Era andato a Berlino a studiare alla Siemens l’avvento della musica nel cinema. A Cinecittà fu tra i primi a introdurre le colonne sonore nelle pellicole. Era un uomo dotato di una grande sensibilità. Sarà l’età, ma sento sempre più impellente questo bisogno di Assoluto».

Anche per lei è giunto il tempo di una fase mistica alla Battiato?

«Franco è stato un grande compagno di viaggio in questo lungo tragitto musicale. Ha suonato nel mio primo disco firmandosi Frank Ionia. L’ho conosciuto nell’ufficio della casa discografica Cramps Records di Gianni Sassi. Era seduto su un divano, un cespuglio scomposto di capelli, il volto coperto da un cerone bianco, occhialoni spaziali, pantaloni a stelle e strisce, stivaloni. Quella immagine fotografica è poi diventata l’icona di una campagna pubblicitaria che ha fatto storia. Era l’unico in Italia a possedere un sintetizzatore elettronico BES 3. Il mio primo Sanremo lo feci proprio con un brano firmato da Battiato. Ero presente il giorno in cui decise di imprimere una svolta alla sua carriera. Lo sfidarono a scrivere una canzone popolare, di grande successo, come quelle dei Pooh. Lui non si scompose, accettò la sfida. Padroneggiava totalmente i meccanismi di composizione musicale. Fu così che diede vita a quei grandi successi irripetibili che conosciamo. Però, piuttosto che chiudersi in una torre d’avorio, nella quotidianità era di una simpatia unica. L’ho visto dunque trasformarsi da provocatore a sperimentatore, fino al livello di maestro impareggiabile. Inventò una sua personale sonorità straordinaria. Con Filippo Destrieri e Alberto Radius, trascorrevano giorni interi alla ricerca di un suono particolare, con Franco mai contento. L’ultima volta che ci siamo incontrati è stato nel corso di una grande kermesse natalizia a Grotte di Castellana. Mi raggiunse sul palco, iniziò a parlarmi come riprendendo una conversazione interrotta poco prima. Mi annunciò un suo prossimo viaggio in Armerina sulle tracce di Gurdjieff. Percepivo uno stato altro di Franco. Come se, per la seconda volta, si fosse liberato per accedere a un altro stadio di consapevolezza».

Lei è nato letteralmente da una nota.

«Mia madre era una cantante lirica. Si chiamava Eloise Degenring, parlava con un buffo accento inglese alla Shel Shapiro. Mi raccontava sempre che in sala parto intonò la nota alta di “Regina della notte” di Mozart e mi partorì. Ad un certo punto della sua vita non poteva più calcare il palcoscenico. Decise di impartire lezioni di canto. Nel corso di quelle lezioni ho ascoltato le diverse tecniche vocali. Ho imparato a cantare così, avvalendomi di diversi registri vocali. Questo è un tema che mi ha sempre affascinato e che ho affinato grazie a grandi incontri come quello con Carmelo Bene. Soprattutto con Demetrio Stratos, che è stato come un fratello per me. Mi portò lui nella mia prima casa discografica, dove conobbi Gianni Sassi».

Lei è ancora l’extraterrestre della musica italiana.

«Extraterrestre è forse il mio brano più conosciuto ma quando uscì fu accolto da polemiche. Mi accusavano di attaccare il Movimento. Questo perché il lato B del 45 giri si intitolava Riflusso. Era un fenomeno che stava arrivando da lontano, era nell’aria, lo percepivo come i pellerossa che nei film, accostando l’orecchio a terra, sentono il galoppo di cavalli lontani. Io gli ho dato un nome. Da oltre venti anni non faccio più parte del sistema discografico ufficiale, decidendo di trasformarmi in produttore indipendente dei miei lavori. Tutto questo, ovviamente, si trasforma non solo in una perdita economica, equivale anche ad essere espulsi dalle dinamiche dei passaggi televisivi. Per andare in televisione, devi appartenere a una sorta di tribù disneyland. Devi fare il fenomeno, trasformarti in una maschera. Sono uscito dall’industria discografica per inseguire un sogno di libertà. Sentivo il bisogno di produrre musica che servisse, non prodotti da consumare. Una sorta di pensione anticipata meravigliosa. Ogni sera mi ritrovo in una nuova sala teatrale, coinvolto e coinvolgendo persone che mi stimano. Esiste un modo più affascinante di fare il pensionato? Alla fine, curiosamente, mi hanno trasformato veramente in un extraterrestre. Mi hanno dedicato l’asteroide (79826) 1998 WP2. Ben mi sta, volevo una stella dove andare via? E me l’hanno concessa. L’asteroide eugeniofinardi, un pezzo di roccia ghiacciata grosso come l’Everest».

Festeggia anche mezzo Secolo il suo festival di Parco Lambro.

«Lo abbiamo progettato a Terrasini, con Mauro Rostagno e alcuni amici responsabili della rivista Re Nudo. Arrivai a Terrasini dopo undici ore di treno, mi dicono che non è cambiato molto. Decidemmo che il parco Lambro avrebbe ospitato il primo Festival musicale del proletariato giovanile. Erano anni meravigliosi di pensiero collettivo. La musica era concepita per tenere insieme le persone. Era un flusso di energia che attraversava, letteralmente, i corpi, sia dei musicisti che del pubblico. Poi è cambiato il mondo. In quegli anni eravamo quattro miliardi nel mondo, adesso siamo il doppio e pensiamo singolare»

Lei che è stato un ribelle, riesce a comprendere la musica Trapper?

«Li ascolto con curiosità, come si deve fare per ogni nuovo fenomeno. Molti li conosco. Sono ragazzi che vivono a San Siro, il mio quartiere. Qualche volta utilizzano riferimenti musicali del passato. La cultura che propongono è quella che stiamo vivendo. Abbiamo voluto annullare ogni ideologia, ogni pensiero? Questo è quello che ne viene fuori»

Lei è ancora un musicista impegnato politicamente?

«La verità? Mi sento ancora un compagno, ma non so di chi. Non di quelli di cinquanta anni fa. Non di quelli che stanno costruendo un mondo violento e cinico, dove trionfa l’egoismo, l’ignoranza. Mi sento compagno di chi si impegna quotidianamente per gli ultimi, di chi si oppone alle distruzioni ambientali, di chi si oppone agli attacchi alla democrazia, di chi si batte per la libertà. Ci scanniamo come bestie, sprechiamo miliardi di dollari per bombardare, annientare città, massacrare bambini. Confido nell’Intelligenza Artificiale. Non la temo. Non può essere più stupida di questa umanità»

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Categorie: Costume e SocietàNumero di visite: 814

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