Ruggero I d'Altavilla, il cavaliere che fece della Sicilia un Regno

L’epopea normanna del medioevo siciliano

Nel decimo secolo, un nuovo popolo si presentò alle porte della Storia: i Normanni, gli “Uomini del Nord" (Nordmaenner) che, muovendo dalla Scandinavia, si stanziarono in Normandia assorbendo la cultura franco - cristiana ed espandendo in poco tempo il loro dominio in Inghilterra fino a giungere nel Sud Italia. Il sistema feudale francese e la notevole espansione demografica, infatti, fecero sì che la maggior parte dei cavalieri normanni (per lo più cadetti esclusi dal diritto di successione) rimanesse povera e senza terra sicchè molti di essi divennero guerrieri di professione al fine di procurarsi ricchezze e nuove terre. In occasione del pellegrinaggio in Terra Santa, i primi normanni si stabilirono nel meridione d'Italia, ove compresero subito che le rivalità tra i vari Stati ivi esistenti avrebbero dato loro l’occasione di distinguersi, al soldo di questo o quel principe, in ciò che meglio sapevano fare: combattere.

La Sicilia tutta gemeva sotto il giogo saraceno (827 - 1091 d.C.) quando due invitti fratelli, Ruggero e Roberto (fig. n.1), figli di Tancredi Conte d'Altavilla Signore normanno, dopo aver conquistato la Puglia e la Calabria, giunsero nell’Isola e, nel giro di trent’anni, la restituirono alla cristianità, facendone uno Stato sovrano.

Nel corso del bisecolare dominio arabo, sebbene non si fosse mai giunti a una vera sostituzione etnica, circa la metà della popolazione siciliana era costituita da berberi ed arabi Aghlabiti (provenienti dall'odierna Tunisia), che formavano perlopiù il ceto dirigente, la rimanente parte da greci, cristiani ortodossi ed indigeni. L'Islam si era diffuso mediante assimilazione culturale e la tassa di compensazione ("jizya") prevista per i non musulmani monoteisti, anche se non molto elevata, era stata sufficiente a indurre alla conversione i ceti più bassi.

L’opportunità di sbarcare in Sicilia si presentò quando l’emiro Ibn at-Thumnah, che governava l’area sudorientale della Sicilia fino a Catania, venne sconfitto sotto le mura di Castrogiovanni (l’attuale Enna) dal cognato, l’emiro della Sicilia centro-meridionale, Ibn al Hawwas. L’occasione dello scontro fu offerta dalle ripetute angherie subite da Meimuna, sorella di Ibn al-Hawwas, da parte del marito Ibn at-Thumnah, culminate con il tentato uxoricidio di Meimuna, che si rifugiò a Castrogiovanni sotto la protezione del fratello. Dopo aver perso la moglie e la battaglia, avvenuta, secondo lo storico ennese Avv. Paolo Vetri, in contrada Calderari (ove vennero rinvenuti alcuni giavellotti e monete arabe), Ibn at-Thumnah chiese l’aiuto dei fratelli normanni recandosi prima a Mileto, per trattare con Ruggero, detto il Bosso per via delle sue alte spalle, e poi a Reggio Calabria, dove era giunto anche Roberto, detto il Guiscardo o Terror Mundi.

Nel 1061, Ruggero, alla testa di un piccolo esercito di circa trecento uomini, approdò a Messina conquistandola in breve tempo. Egli, approfittando delle forti tensioni interne alla società musulmana (conflitti latenti tra arabi e berberi, sunniti e sciiti, riesplodevano periodicamente), si impadronì con relativa facilità della città e di tutta la zona compresa tra i Monti Nebrodi e Peloritani, la cui popolazione si arrese quasi senza combattere in quanto i nuovi arrivati vennero percepiti come "liberatori" dalla popolazione locale che professava, ancora in gran numero, la religione cristiana di rito italo-greco. In quel frangente, i normanni poterono contare sul supporto dell’esercito di Ibn at-Tumnah, almeno fino a quando questi non venne ucciso in un agguato intorno al 1062.

Nella primavera del 1063, Ruggero d’Altavilla riportò nei pressi di Cerami una prodigiosa vittoria contro i musulmani, che gli spianò la strada verso la conquista della Sicilia. Lo storico normanno, Goffredo Malaterra, racconta che, prima della battaglia, Ruggero ordinò ai propri militi di recitare alcuni versi del Vangelo (la contrada in cui ciò avvenne si chiama oggi Evangelio). Lo scontro (fig. n.2) ebbe inizio con un drappello di una trentina di guerrieri guidati da Serlone d’Altavilla, valoroso nipote del Conte Ruggero, il quale si lanciò in campo aperto contro un esercito di migliaia di saraceni. Poco dopo, i normanni, nettamente inferiori di numero, cominciarono ad arretrare in cerca di un luogo più difendibile. In quel momento, Ruggero, alla testa di un centinaio di militi, avrebbe invocato l’aiuto di Dio e di San Giorgio, così, scrive il Malaterra: "apparve un cavaliere, risplendente nelle armi, montato su un cavallo bianco, con in cima alla sua lancia uno stendardo bianco e, sopra di esso, una croce vermiglia". Rianimati da tale visione, i soldati normanni riconquistarono terreno e riuscirono a sbaragliare ben quindicimila nemici.

Pur essendo i normanni in numero di molto inferiore e pur avendo il Malaterra esagerato la conta dell'esercito saraceno, occorre considerare che quest'ultimo si componeva di gente raccogliticcia e mercenaria, non tutta avvezza alle armi, a differenza della truppa normanna composta da guerrieri scelti nelle cui vene scorreva sangue vichingo. Ancora oggi, nel mese di maggio, si ricorda l’evento con festeggiamenti nella cittadina di Cerami, ove il luogo della battaglia viene chiamato Milione per il gran numero di morti.

Dopo la vittoria di Cerami, Ruggero fece dono di quattro cammelli a papa Alessandro II (1061-1073), questi, per ringraziarlo, gli inviò un vessillo che il Conte - secondo quanto affermato dal Malaterra - fece sventolare nelle successive battaglie; potrebbe trattarsi del vessillo di San Pietro che i papi donavano ad alcuni sovrani per legittimarne le imprese militari dal punto di vista religioso. La storicità dell’evento sarebbe confermata dal fatto che, nel trifollaro in rame coniato tra il 1072 ed il 1101 (fig. n.3), Ruggero, vero antesignano della crociata in Terra Santa, è raffigurato come un cavaliere montato a cavallo, munito di elmo a cono, scudo di forma allungata e lunga asta con stendardo, recante la legenda "Rogerius Comes" (il Conte Ruggero).

Secondo un’antica tradizione locale, dopo la conquista della Sicilia, il vessillo sarebbe stato donato da Ruggero alla città di Platia, odierna Piazza Armerina, e dopo varie vicissitudini sarebbe giunto fino a nostri giorni. Tuttavia mentre il Malaterra parlava di un vessillo o drappo, la reliquia di Maria Santissima delle Vittorie venerata a Piazza Armerina (fig. n.4) è un un’icona bizantina dell’VIII secolo con le medesime sembianze della Madonna del monastero di Kikkos, a Cipro. È difficile sciogliere l’arcano ma è probabile che il quadro della Madonna facesse parte di un bottino di guerra del Conte Ruggero e che egli stesso lo avesse donato alla comunità armerina la quale, ogni anno, rievoca le gesta del prode condottiero con il "Palio dei Normanni".

La vittoria campale di Cerami sancì il definitivo controllo sul Valdemone e segnò un punto di non ritorno nella conquista della Sicilia. Nello stesso anno, Ruggero fissò la propria residenza principale a Troina da dove acquisì il controllo delle vie di accesso verso il resto dell’isola. A tale scopo vennero costruiti o comunque rimodellati tre bellissimi ponti, ancora oggi esistenti: il Ponte di Carcaci o di Centuripe (fig. n.5), sul Simeto, il Ponte Failla di Troina (fig. n.6) ed il Ponte Vecchio o di Cicerone, a Cerami (fig. n.7).  

La piccola cittadina di Troina era abitata prevalentemente da cristiani di rito italo-greco che, dopo una iniziale festosa accoglienza culminata nella celebrazione del Natale del 1061, irritati dall'insolenza della soldatesca normanna, si ribellarono ai 'liberatori' con una rivolta capeggiata dal troinese Porino, subendo poi una spietata repressione. Intorno al 1080, Ruggero elevò Troina a sede vescovile, insediando personalmente come vescovo il proprio cugino Roberto e stabilendo i confini della nuova diocesi. Evidentemente, egli pensava di averne il pieno diritto, in quanto era stato lui a recuperare l'Isola alla cristianità ed alla stessa Chiesa di Roma che, prima della conquista araba, era alle dipendenze del patriarca di Costantinopoli. Di quel periodo rimane oggi a Troina la bella cattedrale normanna (fig. n.8) all'interno della quale, nel 1088, il Gran Conte accolse il Papa Urbano II ed ove oggi è custodito un ritratto settecentesco raffigurante Ruggero d'Altavilla in abiti principeschi (fig. n.9). Dopo gli iniziali successi militari, la penetrazione verso la Sicilia centrale e meridionale si arrestò innanzi all’inespugnabile baluardo della città di Enna (allora Castrogiovanni, da castrum Hennae) che, godendo della possibilità di raggiungere gli estremi confini dell’Isola in una rapida azione offensiva, fu la chiave di volta dello scacchiere siciliano dalla caduta dell’Impero romano fino al periodo aragonese.

Seguirono una serie di scorrerie di logoramento da parte dei normanni in danno dei possedimenti saraceni. Nella primavera del 1072, in un agguato tesogli nei pressi di Nissoria, venne ucciso l’eroico Serlone d’Altavilla per il tradimento di tale Ibrahim, un musulmano considerato amico a cui Serlone, in passato, aveva salvato la vita. Circondato da soverchianti forze saracene nella valle del Salso, a breve distanza dalla confluenza del fiume Cerami, per nulla rassegnato, Serlone si arrampicò su una grande rupe e lì, sfruttando la difesa naturale, fece strage di nemici: poi, sopraffatto, fu ucciso e gli fu strappato il cuore, che i saraceni mangiarono per acquisirne il coraggio; la testa, conficcata su un palo, fu mandata al principe Tamin, in Tunisia. Da allora, la grande rupe d’arenaria sulla riva sinistra del Salso, in cui i normanni avevano inciso una grande croce, fu chiamata dagli arabi "Hagar Sârlû", "Rocca" o "Pietra di Serlone" (Rocca o Timpa di Serlone o Sarru nel dialetto locale). La rupe, purtroppo, nella seconda metà del XX secolo, venne adibita a cava di sabbia. Oggi la rocca non esiste più, al suo posto v’è una fossa nella quale si raccolgono le acque della falda dei due fiumi che qui si uniscono (fig. n.10), muti testimoni di quegli epici eventi. Lo sconforto di Ruggero per la perdita del nipote rinsaldò i suoi propositi. Al fine di mantenere le posizioni ed in vista della conquista della ricca città di Palermo (1072), ove Ruggero assunse formalmente il titolo di Gran Conte di Sicilia, i normanni cominciarono a costruire una rete di fortilizi a presidio degli snodi stradali strategici. Tra queste fortificazioni si ricordano quella di Mazara del Vallo (di cui oggi rimane soltanto la porta di ingresso, fig. n.11), che consentì di resistere, nel 1075, ad un attacco di forze musulmane nordafricane, quella di Paternò (fig. n.12), alle falde dell’Etna, da cui si controllava tutta la piana di Catania, e quella di Calascibetta, che fronteggiava la rocca di Enna.

Proprio al fine di assediare Enna, Ruggero, intorno al 1072, fece consolidare un vecchio castello arabo già esistente, chiamato Marco, e fece costruire la Chiesa fortificata di San Pietro al fine di contrapporre simbolicamente la fede cristiana a quella islamica professata, fino al 1088, dagli abitanti della città dirimpettaia. Fu allora che si sviluppò la tradizionale rivalità tra la popolazione di Enna e di Calascibetta che lo storico Paolo Vetri, sul finire del XIX sec., riteneva ancora attuale.

Nei pressi della Chiesa di San Pietro, di cui oggi sopravvive una bella torre normanna adibita campanile (fig. n.13), è stato recentemente rinvenuto e valorizzato (a cura della Dott.ssa Maria Catena Gennuso, esperta in araldica) un reperto di eccezionale importanza che testimonia le vicende di quel periodo: un grande fregio scolpito nella pietra arenaria locale di "cutu" (dal francese couteau, coltello, in quanto un tempo utilizzata anche per affilare i coltelli), raffigurante quella che potrebbe essere la più antica insegna araldica degli Altavilla (fig. n.14). Lo scudo, inserito nel petto di un’aquila, recava in origine un campo d'azzurro alla banda scaccata di due file di rosso e d'argento. Lo stemma riporta la scritta in basso "comes temp. fund ano 1070" ai lati "S. Petrus – Rog...v.", cioè "il Conte (Ruggero) fondò il tempio nell’anno 1070". Se la data del reperto dovesse essere confermata e sempre che non si tratti di un rifacimento seicentesco, ci troveremmo innanzi alla più antica testimonianza esistente del blasone degli Altavilla, che si accompagnava al motto di derivazione biblica: "la destra del Signore ha fatto meraviglie, la destra del Signore mi ha esaltato". Nella stessa cattedrale di Calascibetta è custodito uno splendido ritratto settecentesco del Conte Ruggero in armi (fig. n.15) che, secondo la descrizione offerta dal Malaterra, era "un bellissimo giovane, di alta statura, corporatura elegante, speditissimo nel parlare, astuto nel consiglio, previdente nel disporre i suoi piani, festoso ed affabile con tutti, pieno di forze, feroce nelle armi".

Proprio in quegli anni (1065 – 1100), si formò l'epopea cavalleresca della "chanson de roland" in cui il favoloso e il sacro coesistevano nella purezza esaltata dagli eroici ideali di lealtà e di virtù guerriera incarnati dal Gran Conte di Sicilia, che nei secoli avvenire avrebbe continuato a vivere nella cultura e nell'arte popolare siciliana dell'opera dei pupi (fig. n.16 e n.17), dei cantastorie, dei carretti dipinti ed istoriati.

Dopo avere conquistato Palermo e gran parte dell’Isola con l'ausilio del fratello Roberto, a Ruggero, non rimaneva che conquistare Enna, uno degli ultimi presidi islamici. Nell’anno 1088, il Gran Conte, a seguito di lunghissimo assedio, venne segretamente a patti con l’Emiro arabo della città, Abu'l-Qasim Ibn Hammud, il quale, avendo simulato la resa con la cattura, consegnò pacificamente le chiavi della città (fig. n.18). Il patto tra il Conte Ruggero e l’Emiro divenne amicizia e condivisione di valori, tanto che Ibn Hammud si convertì al cristianesimo e venne battezzato (padrino lo stesso Gran Conte), prendendo il nome del suo nemico/amico, così appellandosi da lì in poi Ruggero il Camuto ed ottenendo possedimenti terrieri in Calabria, ove si trasferì. Secondo altre fonti gli fu, invece, donato il castello della terra del Burgio nella Valle di Mazara, da cui derivò ai discendenti (tra cui il martire San Nicasio) il cognome della famiglia "Burgio".

La valle tra Enna e Calascibetta in cui si dipanarono questi fatti è chiamata oggi della Misericordia (fig. n.19) ed il toponimo, secondo lo storico Paolo Vetri, deriverebbe dal fatto che, proprio in quel luogo, "si misiru d’accordu" i Normanni con gli Arabi. A ricordo del memorabile evento, nel luogo del battesimo, ubicato nelle pendici settentrionali di Enna oggi denominato Kamuth (da Ibn Hammud), in prossimità di un’antica torre di guardia, vennero edificati un monastero ed una chiesetta (fig. n.20), all’interno della quale, almeno fino al 1842, v’era un affresco risalente al XV secolo, raffigurante il battesimo dell’Emiro arabo.

Nel 1085, Roberto il Guiscardo passò a miglior vita lasciando campo libero al fratello Ruggero che, nel 1099, venne insignito da Papa Urbano II del singolare privilegio della monarchia e quindi dell'apostolica legazia che prevedeva, il potere di nominare i vescovi siciliani; con ciò, il Gran Conte di Sicilia raggiunse una posizione che nessun altro principe europeo poteva vantare. Il rozzo guerriero, protagonista di cruente battaglie, si rivelò un saggio uomo di Stato. I re chiedevano la mano delle sue figlie, fantasticando sulla dote che ci si poteva aspettare da un conte la cui ricchezza era divenuta proverbiale. Su un tarì d'oro coniato in quel periodo ad Agrigento (fig. n.21), Ruggero I, venne indicato come Imam e Malik, cioè come Signore e Sovrano (propriamente Re) di Sicilia. Le monete recavano la legenda in latino ed in arabo affinché tutti i sudditi ne potessero comprendere il significato.

Per la conquista della Sicilia i normanni si avvalsero anche di mercenari longobardi provenienti dal nord Italia (prevalentemente dal Piemonte e dalla Liguria) promuovendo al contempo l’immigrazione del ceppo franco - latino ritenuto più fedele e affine alla cultura normanna. Così, nel volgere di pochi anni, soprattutto nella Sicilia interna, prosperarono piccole comunità lombarde le cui caratteristiche idiomatico - linguistiche sono sopravvissute fino ai nostri giorni: i principali centri sono Nicosia, Sperlinga, Piazza Armerina, Aidone, Novara di Sicilia e San Fratello, ove ancora oggi è in uso l’antico dialetto gallo - italico, iscritto nel Libro delle Espressioni del "Registro delle Eredità Immateriali della Sicilia". Si presume che anche a Enna si fosse insediata una comunità lombarda che diede il nome al quartiere Lombardia (sulla cima dell’antica cittadella) ed allo stesso castello che non esisteva ancora nelle fattezze (sveve) in cui oggi lo conosciamo.

Oltre ad essere dei valorosi combattenti, i Normanni seppero governare con saggezza: i sudditi, cristiani, musulmani o ebrei che fossero, vennero rispettati nei costumi e nelle tradizioni. Mentre la maggior parte dell'Europa era ancora feudale, Ruggero gettò le basi di uno stato moderno in cui il re non governava più tramite potenti feudatari, ma tramite i propri funzionari. Egli fu tollerante con le tradizioni greche, latine ed arabe che in quel periodo coesistevano nel meridione, lasciando a ciascuno libertà di culto pur adoperandosi per la edificazione di chiese e cattedrali. Quando Ruggero I iniziò a coniare le "scandalose" monete nel cui tondello era impressa, da un lato, la formula religiosa islamica "non c’è Dio se non Allah e Muhammad è il suo profeta", e, dall’altro, una T che simboleggiava la Croce Cristiana (fig. n.22), volle intenzionalmente annullare il tradizionale conflitto tra mondo cristiano e mondo islamico, così realizzando un mirabile esempio di sincretismo religioso.

Il Gran Conte Ruggero, Re di Sicilia in pectore, si spense nel 1101, lasciando la reggenza della Contea di Sicilia alla moglie, Adelasia del Vasto. A quel tempo risale la cosiddetta lettera di Adelasia, un prezioso documento conservato presso l'Archivio di Stato di Palermo. Trattasi di una lettera, scritta in greco ed arabo, datata 1109, che venne indirizzata da Adelasia del Vasto, Contessa di Calabria e di Sicilia, "difenditrice della fede Cristiana", ai Vicecomiti ed agli Ufficiali delle terre di Castrogiovanni (Enna), raccomandando loro "[…] di non molestare ma anzi di porre sotto la loro protezione i monaci del Monastero di San Filippo di Demenna, sito nella valle di San Marco" (San Marco d’Alunzio), ai quali era concesso il privilegio di estrarre sale nella miniera di Castrogiovanni. La lettera di Adelasia (fig. n.23) è considerata il documento cartaceo più antico d'Europa (l'impasto fibroso risulta composto da cellulosa di lino in fibre poco raffinate e frammentate) e costituisce la prova tangibile dell'importanza della città di Enna nel periodo arabo - normanno, ove avevano sede funzionari di alto rango, come Visconti e Qāʾid.

Succedette al Gran Conte il figlio, Ruggero II il quale, la notte di Natale del 1130, venne incoronato a Palermo, Re del Regno di Sicilia (fig. n.24) che oggi, nonostante il susseguirsi di varie dinastie, è da ritenersi uno dei regni i più antichi e longevi al mondo (dal 1130 fino al 1816 data di riunione con il Regno di Napoli). Regno di Sicilia, in cui tutti coloro che vi transitarono trovarono qualcosa e, allo stesso tempo, lasciarono qualcosa.

Ruggero II morì nel 1154 (fig. n.25); aveva esteso il suo dominio fino al nord Africa e Costantinopoli, lasciando un regno forte e unito, un regno che, come avrebbe affermato più tardi la figlia, Costanza d’Altavilla (madre di Federico II di Svevia), aveva "la forza di una spada normanna, l’eleganza di una veste bizantina, la cultura di una scuola araba". Anch’egli, come il padre, era riuscito a tenere unite popolazioni profondamente diverse per tradizione, cultura e religione.

Il palazzo reale di Palermo (fig. n.26) fu sede del primo Parlamento del mondo (1130) e vi venne issata (1282) una delle più antiche bandiere (fig. n.27). Dall’antica reggia normanna di Palermo, grazie all’illuminato genio del discendente Federico II di Svevia (nipote del Gran Conte), volarono i primi canti in lingua italiana.

Di tutta questa storia rimangono a noi ennesi pochi ruderi composti da grandi pietre, poste una sull'altra in tempi lontani da gente desiderosa di tramandare ai posteri la memoria di quegli epici avvenimenti che avrebbero cambiato la storia della Sicilia e dell’occidente europeo: chi oggi ha l’ardire di avventurarsi tra i rovi del Kamuth (fig. n.28), a mezzogiorno, potrà udire la campana dell'antico Duomo, i cui rintocchi fermano magicamente il tempo e lo riportano ad un favoloso passato quando principi, regine, re ed imperatori, inerpicandosi sulla regia trazzera Kamuth - Porta Palermo, si avviavano verso l’inarrivabile Enna, Urbs Inexpugnabilis.

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