La partecipazione di un siciliano a una missione scientifica al Polo Sud sembra un ossimoro. Come una vicenda scivolata da una pagina dello scrittore ennese Umberto Domina. L’episodio però è realmente accaduto e ha guadagnato le pagine dei giornali più prestigiosi. Il protagonista di questa storia è il giovane ennese Federico Scoto, 34 anni, ricercatore polare. La notizia che ha presto fatto il giro del mondo è quella che lo vede coinvolto con altri sedici ricercatori nell’estrazione del campione di ghiaccio più “antico” del mondo. Una tappa scientifica fondamentale nella ricerca climatologica. La scoperta è avvenuta a “Little Dome C”, una stazione remota del Polo Sud. Il giovane scienziato siciliano era stato selezionato per partecipare al progetto europeo H2020 “Beyond EPICA Oldest Ice” coordinato dall’Istituto di Scienze Polari del CNR ”.
Un successo professionale che giunge a coronamento di una lunga carriera di ricerca. Il corso di studi del giovane studioso siciliano ha avuto inizio con la laurea in Scienze Geologiche all’Università di Catania. Oggetto della tesi dell’ateneo etneo fu lo studio del corpo glaciale ipogeo più a sud d’Europa, la Grotta del Gelo posta sul versante settentrionale dell’Etna. Il passo successivo è stata la laurea magistrale in Scienze Geofisiche con un periodo trascorso a Reykjavik per svolgere una tesi su un ghiacciaio islandese e, infine, il dottorato di ricerca in Scienza e Gestione dei Cambiamenti Climatici condotto presso l’università veneziana di Ca’ Foscari. La linea di ricerca di Federico Scoto muove lungo due direttrici. Da una parte la ricostruzione delle condizioni climatiche del passato attraverso l'analisi di carote di ghiaccio. Dall’altra lo studio delle proprietà chimico-fisiche del manto nevoso stagionale in ambiente artico. Attualmente si sta occupando dell’analisi di matrici glaciali provenienti dalle regioni polari ed alpine.
Ricerche condotte avvalendosi dell’utilizzo di tecniche di spettrometria di massa per la determinazione di elementi contenuti nei campioni esaminati. In particolar modo lo studio di alogeni (bromo e iodio) ed il loro legame con le fluttuazioni del ghiaccio marino stagionale. Analisi che conducono allo studio dei cicli biogeochimici di metalli pesanti, composti organici, black carbon, mercurio e microplastiche nella criosfera Artica.
Dal 2018 fa parte del team italiano di “Ice Memory”, un progetto di ricerca internazionale che mira alla salvaguardia delle informazioni climatiche preservate nei ghiacciai montani di tutto il mondo. Dal 2019 è responsabile del programma di monitoraggio chimico-fisico della copertura nevosa a Ny-Ålesund, nelle Isole Svalbard. Ha partecipato a decine di spedizioni scientifiche in aree polari, sia in Artico (Svalbard, Alaska), che in Antartide. Ha contribuito, in qualità di primo autore o co-autore, alla stesura di numerosi articoli scientifici pubblicati in riviste internazionali
Una pagina di fondamentale interesse scientifico è stata quella che ha condotto dal 2023 al 2025. Anni nel corso dei quali ha partecipato al progetto di ricerca internazionale “Beyond Epica Oldest Ice”, nel plateau Antartico, presso il campo remoto di Little Dome C (LDC). In quella occasione ha fornito il suo contribuito alle operazioni di processamento ed analisi in campo della carota di ghiaccio estratta dalla calotta antartica.
Il giovane studioso ennese, accoglie con un sorriso l’ossimoro del siciliano tra i ghiacci del Polo Sud. Sottolineando comunque che il freddo della natia Enna, non è lontanamente paragonabile con le temperature estreme, quelle di meno trentacinque gradi di media, con le quali ha dovuto fare i conti nel corso delle sue missioni.
Federico Scoto vive tra Padova e Venezia dove lavora all’Istituto Scienze Polari. Quando gli chiediamo come è nata questa passione per i ghiacci ricorda che, fin ragazzo, la sua fantasia era è stata rapita dai film di fantascienza e dai diari dei primi esploratori polari. Racconti che narravano le avventure di Ernest Shackleton e il suo epico viaggio in Antartide, quelli delle avventure dell’esploratore Roald Amundsen o le epiche conquiste di Robert Scott. Eroi che ha avuto modo di ammirare, sempre più, dopo essersi misurato in prima persona con quella straordinarie difficoltà. Le stesse traversie che quegli intrepidi esploratori hanno affrontato con mezzi e tecnologie non comparabili con attuali gli equipaggiamenti.
Come da protocollo, anche per il ricercatore ennese, la partecipazione alle missioni scientifiche in Antartide è giunta solo dopo una lunga selezione. In particolar modo, dopo un’infinita e accurata serie di visite mediche condotte presso l’Istituto di Medicina Aerospaziale. I partecipanti della selezione sono stati sottoposti a rigidi protocolli. Monitorati tutti i parametri vitali e numerosi test psicologici e attitudinali. Lo stesso protocollo di selezioni al quale si sottopongono gli aspiranti piloti dell’Aeronautica militare italiana. Prove selettive che una volta superate, portano al coronamento di un sogno.
La sola descrizione del lungo viaggio intrapreso per raggiungere il Polo Sud assume già la connotazione di un’impresa. Un continuo alternarsi di scali aeroportuali. Dal primo a Dubai fino allo sbarco a Christchurch in Nuova Zelanda, passando per uno scalo tecnico a Sidney, in Australia. Questo il viaggio regolare che, dopo un giorno di attesa, lascia lo spazio agli spostamenti intrepidi. Sette ore di volo a bordo di un C130 dell’Aeronautica militare utili per raggiungere la base Mario Zucchelli, a Baia Terranova. Un trasbordo aereo rumorosissimo ancorato alle scomode reti della carlinga e le altrettanto improvvide imbracature polari. Un successivo volo per guadagnare l’atterraggio nell’aeroporto della base Concordia, nel mezzo del plateau antartico. Da lì l’ultimo tratto di due ore a bordo di un battipista “PistenBully”, una sorta di apripista che consente di raggiungere il campo di ricerca dedicato ai carotaggi. Un campo di lavoro che dista 1200 chilometri dalla costa, un plateau antartico con temperature che, in estate, oscillano da meno trenta a meno quarantacinque gradi sotto lo zero. Un viaggio avventuroso dunque che, con tutte le condizioni favorevoli, partendo dall’Europa necessita di sei o sette giorni.
Le missioni prevedono un rigido protocollo. Hanno una durata media di tre mesi che vanno da novembre a febbraio. Tre i turni di lavoro della durata di due ore circa ciascuno. Gli scienziati e i tecnici sono chiamati ad agire con temperature estreme spesso vicine ai quaranta gradi sotto lo zero. La stessa quotidianità nella base è frutto di inevitabili fatiche. Una semplice doccia si traduce in grandi quantitativi di neve da spalare e fondere.
Lunghi giorni di permanenza lontani da ogni dove, nel corso dei quali si può manifestare una imprescindibile nostalgia. Come sottolinea Scoto. Momenti nel corso dei quali realizzi le distanze incolmabili che ti separano dagli affetti. Difficoltà alle quali si ovvia con moderni sistemi di comunicazione che consentono un contatto immediato con tutte le destinazioni del mondo.
L’esito dell’ultima missione del giovane scienziato siciliano ha guadagnato la ribalta internazionale. Tutti i giornali più prestigiosi hanno dato notizia dell’estrazione straordinaria eseguita. Un prelievo di campioni di ghiaccio fondamentali per conoscere il passato e intuire il futuro.
I rilevamenti strumentali a disposizione degli studiosi del clima sono assai recenti. A grandi linee coprono un arco temporale di duecento anni in termini di misurazioni dirette. Prima di esse, vi è un vuoto di conoscenza che le nuove tecnologie sono state tuttavia in grado di colmare. I carotaggi eseguiti sotto la calotta antartica hanno infatti consentito di estrarre campioni che risalgono fino a un milione e duecentomila anni fa. Una sorta di macchina del tempo. All’interno di queste carote di ghiaccio, si riescono a isolare e studiare bolle di aria e polveri vulcaniche. L’aspetto più complesso e poi quello che consente, attraverso una catena del freddo, di trasportare questi campioni a una temperatura di meno cinquanta gradi, Una complessità logistica notevole che consente di trasportare i campioni di ghiaccio dal continente antartico fino ai diversi laboratori europei. La perforazione ha raggiunto i 2800 m di profondità prima di incontrare il basamento roccioso sulla base della calotta di ghiaccio.
Assai più complessa è la previsione sul futuro del clima mondiale. Federico Scoto cerca di sintetizzare gli scenari futuri che si prospettano. A grandi linee sono due, uno scenario pessimistico e un altrettanto futuro ottimistico. Ovviamente, l’esito finale sarà legato all’impegno e alla capacità di operare in direzione della salvaguardia del pianeta. Un esito non certo delegabile agli scienziati. Dipenderà tutto dalla consapevolezza della comunità mondiale. Prendere dunque atto che l’attuale livello di inquinamento non è più sostenibile. La sottovalutazione dei fenomeni di produzione eccessiva di anidride carbonica porterà, inevitabilmente, ad un aumento consistente della temperatura e, con essa, a tutte le catastrofi ambientali che già oggi assumono connotazioni di trasformazioni epocali. Lo scienziato ennese, facendo riferimento agli ultimi studi del settore lancia un allarme anche per la Sicilia e il Mediterraneo. Il rischio ormai sotto gli occhi di tutti è quello di una tropicalizzazione del clima mediterraneo. Uno scenario che ormai da qualche anno ci fa assistere all’alternarsi di periodi di grande siccità alternati a devastanti precipitazioni.
Quando gli chiediamo quale è l’aspetto singolare che lo lega alle sue missioni in Antartico, ci consegna una constatazione inedita. Quella lunga permanenza al cospetto di temperature estreme, ha rafforzato nello studioso ennese, la convinzione che il suo corpo umano sia in grado di sviluppare una sorta di “memoria del freddo”. Ogni volta che si ritrova in presenza di temperature estreme è come se la percezione del freddo sia sempre più attenuata frutto, a suo parere, della straordinaria capacità dell’uomo di adattarsi agli ambienti più remoti del nostro pianeta.